Renzi, sciagura per il Pd Meno male che ha lasciato
Renzi sciagura per il Pd, meno male che ha lasciato
Egregio direttore, ancora una volta sul partito democratico si abbatte la “sciagura” Renzi. Tale personaggio ha preso la sua strada e ha deciso di andarsene per altri lidi: e il partito ne guadagna in termini di consolidamento della propria identità. D’altra parte io non sono mai stato troppo convinto del presunto talento, riconosciuto da più parti al predetto, e del suo conseguente tasso carismatico.
Non va dimenticato che dopo il famoso 41%, raggiunto a suo tempo alle elezioni europee, Renzi è uscito sconfitto in tutti i successivi confronti elettorali, portando il partito sull’orlo del collasso, al quale con sagacia e prudenza sta cercando di mettere ora riparo l’attuale segretario Nicola Zingaretti. E la cocente clamorosa sconfitta riportata in occasione della proposta improvvida riforma costituzionale del dicembre 2016 avrebbe dovuto consigliargli, come pure poi aveva promesso di fare, di abbandonare l’agone politico. Ma l’uomo è schiavo del proprio ego e proprio non riesce a farsi da parte,
Da ultimo ha inventato la giravolta- trasformistica dell’improvviso mutato atteggiamento di favore nei confronti del M5S, che ha infine portato alla formazione del governo giallorosso. Ma l’uomo ben sapeva che le eventuali elezioni avrebbero segnato anche la perdita della considerevole dose di potere che egli, attraverso i gruppi parlamentari, ancora conserva all’interno del partito. Ricordavo che il soggetto in questione non riesce a stare nel gruppo, in posizione di gregario. Ecco allora l’invenzione della “separazione consensuale” (?) dal Pd: la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso della impossibilità di convivenza sarebbe costituita dal fatto che nessun toscano è stato nominato nei 42 sottosegretari! Sempre alla ricerca di altro potere, pur avendo già la ministra Bonetti e il sottosegretario Scalfarotto, noti renziani, nel governo. Ma quale centro cerca Renzi? Vi è ancora un centro, che possa acquisire forza e significato nella politica italiana? Io non credo. Ma il nostro uomo di Rignano ha bisogno di porsi a capo di qualcosa, anche perché fortemente infastidito dal fatto che al comizio del segretario si canti ancora “Bandiera rossa” e dal dispiacere di doversi forse reincontrare nel Pd con gli odiati “transfughi” Bersani e D’Alema. E così, alfine, purtroppo, dobbiamo riconoscere forse come giusta la diagnosi di Sallusti, il direttore del “Giornale”, il quale continua a sostenere che il governo cadrà; e non per le difficoltà connesse al delicato momento che si trova a dover affrontare, soprattutto sul piano economico, bensì per le lotte intestine che hanno sempre accompagnato la sinistra. Che ne pensa Direttore?
Pietro Chiaro
Io ci vedo una coerenza di fondo
In realtà io non penso che ci siano gocce. Penso che Renzi aspettasse da tempo una goccia apparente, potenziale, tirata per i capelli, per poter finalmente avviare il suo progetto. Le confesso che io, anche se mi prenderà per matto, ci vedo una coerenza di fondo. Mi spiego: Renzi non è mai stato del Pd. A un certo punto della vita, quando la Margherita si suicidava (perché più che di una fusione col Pd si è trattato di un suicidio) Renzi non solo è entrato nel Pd, ma ha pensato (capito?) che ci sarebbe stato un unico modo per spostarlo più al centro (o più a destra, a detta di alcuni) e per arrivare dove voleva davvero arrivare (qui non si tratta nemmeno di stabilire se meritasse di arrivare dov’è arrivato). E quel modo era impadronirsi del Pd. Gli è riuscito tutto - e gli italiani l’hanno a dir poco ostenuto - fino al giorno in cui il bullo che è in lui ha avuto meglio sul politico di (oggettivo) talento che in lui non riusciva però a convivere col di cui sopra bullo. Non solo: il bullo in un certo senso s’è suicidato (di nuovo): legando il duo destino a un referendum che aveva anche un senso, ma che ne ha preso un altro per colpa sua, visto che si andava di fatto a votare per confermarlo alla guida del governo o per mandarlo a casa. Alla fine, considerato che stanno tornando tutti gli uomini che aveva sconfitto - da D’Alema a Bersani - non gli restavano che due vie: o fare come loro (andandosene via dopo la sconfitta per fondare l’ennesimo partitino e preparare la rivincita o, meglio, la vendetta) o restare dentro e combattere una battaglia più o meno giusta dall’interno. In un mondo logico la scelta giusta era ed è la seconda, ma da un po’ di anni a questa parte chi perde un congresso (semplifico, perché nemmeno i veri congressi ci sono più) prende, se ne va e fonda qualcosa di diverso: si chiami Toti, Meloni, Santanché, Mastella, Speranza, Renzi poco cambia. Non serve nemmeno tornare a Psi, Pci, Psdi. Persino Aristofane descriveva una situazione analoga 2400 anni fa. Per chi giudica tutto questo con gli occhiali e i paradigmi di un tempo - quelli che ci facevano considerare un partito un luogo del dibattito, anche aspro, dal quale poi si usciva con un’unica posizione - tutto questo è una follia. Ma oggi è la normalità. In più Renzi pensa di rimettere insieme i cocci dei cattolici, i cocci dei liberali e dei tanti mondi che avevano lasciato la Dc e i partitini per seguire Berlusconi. Con molti cespugli potrebbe persino fare una foresta. O fondare l’ennesimo partito legato a un solo leader che ha percentuali degne dei prefissi telefonici. È presto per giudicare, ma la strada, conoscendo il soggetto, per lui era una e una sola. Tutto il resto sono pretesti, scuse, capriole. Se l’impresa gli riesce, anche se dimentica che prima di lui ci hanno provato in mille (soprattutto guardando alla diaspora democristiana), lo chiameremo Rieccolo, come Montanelli chiamava un altro illustre toscano: Amintore Fanfani. Se non gli riesce sarà l’ennesimo potenziale leader che disperde in pochi anni un patrimonio con pochi eguali. Ma anche in questo non arriva primo. E gli italiani, che cambiano idea molto in fretta, portandoti (e portandosi?) dalle stelle alle stalle in due minuti, possono dar lezione a lui e a tutti quelli che l’hanno preceduto. In fondo, Renzi ci rappresenta perfettamente.
a.faustini@ladige.it