Migranti, Fassa ha perso la sua identità cristiana

La lettera al direttore

Migranti, Fassa ha perso la sua identità cristiana

Non è stata indolore l’accoglienza dei rifugiati, neanche nella ladina Val Badia, patria del santo missionario Giuseppe Freinademetz. Ne sa qualcosa il sindaco di La Valle che, per ammorbidire il clima di rifiuto, di diffidenza e di paura che, a suo tempo, aveva creato l’annunciato arrivo di un gruppo di migranti aveva perso notti di sonno. Grazie alla sua intermediazione, del gruppo solidale nei fatti e alla disponibilità del parroco Franz Sottara che ha subito offerto un alloggio l’opposizione è in buona parte rientrata. L’accoglienza è stata assicurata affidandone la gestione alla Comunità Comprensoriale Pusterese. Nel marzo 2018 il primo arrivo di cinque richiedenti asilo. Oggi sono 24 ma in complesso la Comunità Pusterese fino ad oggi ne ha accolti 58 considerando i movimenti in uscita dal progetto grazie ad opportunità diverse che la comunità ha offerto in alternativa ai centri di accoglienza. Recentemente a La Valle è stato promosso un incontro aperto a tutti per fare il bilancio dell’esperienza. Presenti i protagonisti e i collaboratori del progetto. Per questo appuntamento erano saliti in Badia anche il vescovo Ivo Muser e l’assessore provinciale Waltraud Deeg. La messa di ringraziamento è stata occasione per il vescovo per salutare gli ospiti migranti, ringraziare chi si è impegnato ad accogliere e per ribadire l’impegno della chiesa locale verso i più deboli. Impegno che il Sinodo Diocesano ha rafforzato anche nei confronti dei richiedenti asilo nonostante il clima popolare a volte ostile. Non gli sono mancate critiche e provocazioni. Muser ha riaffermato che umanità e cristianità non sono negoziabili: «...il comportamento biblico dell’ospitalità, aveva ribadito, non vale solo per i turisti con buone possibilità di spesa». Un ospite senegalese, Djouf, è stato invitato a raccontare la sua lunga via crucis per approdare in Italia, poi destinato a Funes e infine giunto a La Val dove, ha detto in italiano stentato: «Mi sono sentito veramente a casa». Djouf ha salutato e ringraziato tutti anche con qualche espressione ladina. Un significativo segno, anche questo ,di rispetto e di volontà di integrazione. Il progetto statale SPRAR a La Val proseguirà fino a giugno 2020.
E qui in Fassa? Li abbiamo cacciati, i migranti, dopo averli illusi con un orizzonte di tranquillita dopo tanta sofferenza. La mano dura del governo provinciale leghista, a cui la Valle di Fassa ha dato il suo contributo all’insediamento, ha chiuso anzitempo il progetto avviato nell’aprile 2017 con la precedente amministrazione provinciale. Erano una ventina di persone, famiglie, ragazzi soli e una coppia la cui figlia è nata qui. Sistemati in vari paesi sono stati affidati all’educatore Mirko Bonelli affiancato da un gruppo di volontari, fra gli altri insegnanti per i corsi di italiano, Ufficio del lavoro, Union di Ladins, Scuola ladina e Comun de Sen Jan. Le iniziali paure e diffidenze si sono mitigate nel prosieguo della permanenza. Ma già a fine 2018 si è cominciato ad avvertire in sede istituzionale provinciale e locale la volontà di una sterzata tagliando gradatamente i servizi previsti per l’integrazione. Come casa, lavoro e corsi di italiano. Si è poi concretizzata l’intenzione politica di togliere i rifugiati dalle valli. In compenso Fugatti invita a fare il presepe. Ovviamente Mirko Bonelli ha perso il lavoro, come tanti altri in Trentino: «Per me - ha detto - è stata comunque una esperienza positiva e coinvolgente dal punto di vista professionale e soprattutto dalle dimensioni umane e emotive forti. Penso che anche per quella piccola frazione di comunità impegnata in questa fase di emergenza sia stata esperienza arricchente. Ringrazio gli amministratori che sono stati al mio fianco. Non altrettanto posso dire nei confronti di altri loro colleghi. Qualcosa di più mi sarei aspettato anche dalle parrocchie di Fassa». La valle esce quindi in bianco nero da questo primo approccio diretto al fenomeno migratorio. Fenomeno che, purtroppo non finisce qui. Non finirà alzando muri, compresi quelli invisibili. Paolo Naso, docente alla Sapienza, in un recente duplice incontro a Trento con preti e pubblico, ha parlato dell’accoglienza come di «tratto essenziale della nostra identità cristiana». È ancora viva questa identità in Val di Fassa?

Claudio Gabrielli


 

Non ci si deve perdere d'animo

Talvolta, parlando di questi temi, mi accorgo di quanto sia profondo il cambiamento che ogni giorno abbiamo davanti agli occhi. Questa è sempre stata terra d’accoglienza, ma tanto in Alto Adige quanto in Trentino sono molte le storie per così dire doppie. A fronte di chi, magari faticosamente, ha sperimentato una solidarietà che s’è fatta integrazione, c’è chi ha messo davanti ad ogni cosa il rifiuto, allontanando di conseguenza anche la sola idea di poter accogliere, di poter aiutare, di poter allungare la mano verso chi ha solo bisogno d’aiuto. Non so che fine abbia fatto il tratto essenziale della nostra identità cristiana e mi chiedo dove potrebbero trovare accoglienza, oggi, Giuseppe e Maria, se tornassero improvvisamente in questo pianeta lacerato da odio ed egoismo. La paura e il senso d’insicurezza prevalgono su ogni altro ragionamento, facendoci considerare diverso chi rappresenta invece solo la nostra altra faccia: quella della difficoltà, quella della salita impervia della vita. È un volto che non ricordiamo, un volto che il benessere ci impedisce di riconoscere. Chi ha meno tende sempre a dividerlo e a condividerlo. Chi ha di più fatica invece a declinare il concetto di solidarietà. Anche l’esempio altoatesino che lei cita è nato con difficoltà, ma non ci si deve perdere d’animo, perché dimostra che cambiare è possibile. Certo, la politica dovrebbe aiutarci ad essere migliori, non sollecitare l’atteggiamento di chiusura che in misure diverse abita comunque dentro ognuno di noi.

a.faustini@ladige.it

 

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