Scuola / Il commento

Più che didattica è disagio a distanza

L'immagine bucolica della bimba davanti al pc sul prato fra le mucche non rappresenta la condizione faticosa delal gran parte dei bambini con le aule chiuse

di Andrea Tomasi

La foto della piccola Fiammetta che fa scuola davanti ad un computer portatile, circondata dalle caprette, ha fatto il giro del mondo. Brava Fiammetta e bravi i genitori. Detto questo, non si pensi che tutti si siano commossi davanti a quell’immagine. No.

Ci sono genitori arrabbiatissimi perché la Dad, per loro e per i loro piccoli, non è «Didattica a distanza» ma «Disagio a distanza». Benché sui media, grazie a quella bambina con il cappellino che fa tanto Greta Thunberg, sia passato il messaggio del «Quanto è bella la scuola da casa! Basta organizzarsi e basta una buona connessione web», molte famiglie (e con loro molti insegnanti) si sentono prese in giro e rispediscono al mittente il racconto bucolico in stile Heidi.

Dad Fiammetta (foto Ansa)

[foto Ansa.it]

E gli articoli che hanno accompagnato quella foto - dove il sottotesto era «Non lamentatevi! Guardate quanta bellezza!» - stridono un po’ con le giornate di alienazione dei bambini, costretti a stare in casa, davanti ad uno schermo, chiusi in una stanza (non si può fare altrimenti... avete mai provato ad usare un computer all’aperto? Auguri a voi e alla vostra vista...). 

E vogliamo parlare delle insegnanti, magari di quelle che, fra le pareti domestiche, devono gestire le lezioni e pure i figli? «Bambini mi sentite?» «Giada spegni il microfono!” «Marco non ti vedo!». Ore, di 45 minuti, distribuite nel corso della settimana: oggi soltanto un’ora di lezione, domani tre, con i bambini che avrebbero diritto a regole certe e alla qualità dell’insegnamento.

Un'amica docente mi propone sigle alternative a Dad: Ddpb (Disturbo di personalità borderline), Dedp (Disturbo evitante di personalità), Doc (Disturbo ossessivo compulsivo), Dds (Disturbo da stress).

Mi si dirà che non c'è scelta, che si deve pensare ai soggetti più fragili (tema sul quale non sono affatto insensibile). Mi si dirà che non si può fare diversamente perché c’è il Covid. Ne siamo sicuri? Vogliamo chiederlo a chi abita in paesi di montagna in scuole controllatissime? Canal San Bovo e Malé, ma anche Rovereto e Trento, non sono Roma o Milano. Paura del virus. Certo... e di tutto ciò che comporta, ma pochi giorni fa il dottor Andrea Campana, primario di pediatria del Bambino Gesù (non proprio l’ultimo dei salottieri da tivù di Stato) ha spiegato che a scuola il problema del contagio fra bambini è inesistente. Il medico si riferiva allo studio dell'ospedale pubblicato su Cell Reports circa le caratteristiche immunologiche dei pazienti che meglio reagiscono all'infezione da Sars-CoV-2.

In classe i dispositivi di protezione li usavano alunni e insegnanti. I bambini i sacrifici che abbiamo chiesto loro di fare li hanno fatti, ma niente.

Tutti a casa, davanti al pc.

Ci sono bambini che già adesso non vogliono sentire più parlare di scuola: una crisi di rigetto in piena regola perché se togli i compagni di classe, se togli i sorrisi, il divertimento, l’agire insieme, di fatto togli la vita. Ne sanno qualcosa le mamme e i papà che, in varie realtà del nostro territorio (e non solo), hanno protestato civilmente in piazza e davanti ai cancelli chiusi delle scuole. Autocertificazioni alla mano, nel rispetto dell’ultimo Dpcm in materia di spostamenti, hanno urlato il proprio dolore, accettando il rischio di essere dipinti come quelli che non vogliono fare i genitori.

Sui social la frase di reazione più garbata è «se non sai gestire i tuoi figli a casa non dovevi metterli al mondo».

Dad Fiammetta (foto Ansa)

[foto Ansa.it]

Possiamo spalmare la Dad su tutti facendo finta che vada bene, ma la realtà è un’altra ed è fatta di disuguaglianze. Pensiamo a chi, per una ragione o per l’altra, non può fare la didattica da casa. Si dirà che per gli alunni in situazioni particolari (perché con bisogni educativi speciali o perché i genitori sono medici o infermieri) c’è la possibilità di andarci in classe.

Ma come? In quali condizioni? Quei bambini si sentiranno diversi due volte: andranno in una scuola irriconoscibile, con un orario intermittente (che già a casa è poco gestibile). In classe da soli o quasi e magari - oltre al danno anche la beffa - costretti a salutare i compagni in collegamento web, mentre loro sono lì, diversi come sempre o anche di più.

La foto della piccola Fiammetta può piacere per qualche minuto. Poi però, superata l’emozione, subentra la rabbia perché bisogna fare i conti con il mondo reale. E viene da sorridere amaramente pensando che le “scuole nel bosco” - che da noi non mancano e dove il problema del distanziamento è pari a zero - possono essere frequentate solo dai figli appartenenti ad un numero limitato di categorie.

Nei boschi sopra Tenno (per restare sul locale) oggi i bambini che possono fare scuola nella natura sono 10 contro i 40 di qualche giorno fa. Possiamo pubblicare decine di foto di pastorelle ma basta entrare in qualche casa per capire il disagio che stanno vivendo i bambini, a cui è stata tolta la socialità, la possibilità, durante la ricreazione, di correre dietro a un pallone (evidentemente infetto). La Dad si traduce in insegnamento scarno e scarso (non per colpa di maestre e prof) mentre la qualità dell’educazione corre verso quota zero.

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