Inverno duro, nel Parco Stelvio oltre 300 cervi morti
La neve che tanto bene ha fatto al turismo delle Val di Sole, ha però mietuto parecchie vittime nella fauna selvatica. Fino a oggi infatti si sono contate 305 carcasse di cervi morti rispetto a una popolazione stimata in base ai censimenti di circa 3.000 esemplari, di cui circa 2.000 nel Parco Nazionale dello Stelvio.
Una moria abbastanza consistente anche se non paragonabile a quella avvenuta nel 2008, quando a furono 771 i resti rinvenuti dalle cinque stazioni forestali di Malé, Dimaro, Ossana, Rabbi e Peio. Allora la popolazione era stimata di circa 3.200 cervi, di cui circa 2.100 nel Parco. La morte è dovuta a un inverno particolarmente lungo e rigido con abbondanti precipitazioni nevose che hanno reso difficile la ricerca di cibo.
La contabilità della morte naturale arriva al 31 marzo scorso anche se, come conferma il direttore dell’Ufficio distrettuale forestale di Malé Fabio Angeli, il fenomeno è ancora in corso. «Questo è un momento delicato - commenta Angeli -. I cervi sono deboli e debilitati dalla carenza di cibo invernale. Iniziare a mangiare erba fresca e verde non gli fa recuperare le forze, ma anzi li indebolisce ancor di più».
La mortalità maggiore si registra tra la popolazione di cervi che vive nel territorio del Parco nazionale dello Stelvio, nelle Valli di Peio e di Rabbi: qui gli esemplari deceduti ritrovati sono stati 250, mentre fuori dalla riserva naturale se ne sono contati 55.
Nell’inverno 2008-09, invece, sono stati 489 i cervi morti rinvenuti nel Parco nazionale dello Stelvio e 282 nel resto della valle. L’elevata mortalità all’interno dell’area naturale è determinata dalla maggiore densità insediativa degli animali rispetto alle altre zone della valle. «Inoltre, qui - continua Angeli - i cervi hanno a disposizione meno zone di svernamento».
«La mortalità è un fenomeno del tutto naturale di autodifesa e di riequilibrio dell’ambiente - spiega quindi il coordinatore scientifico del Parco nazionale dello Stelvio Luca Pedrotti -. Ci sta che questo avvenga. Quest’anno, in base al censimento, siamo quasi tornati a una consistenza di cervi pre 2008. Con un numero di esemplari così elevato e con un inverno così lungo ne fanno le spese gli animali più deboli. I pesi medi sono minori, le riserve di grasso terminano prima e quindi si verifica un collo di bottiglia. La morte di un numero così elevato di animali è normale che susciti una certa emozione e qualche contraddizione. Ma certamente la selezione naturale lavora meglio di quanto potremmo fare noi, uomo. Ha fatto in un anno ciò che un piano di controllo del parco avrebbe potuto fare in tre o cinque anni scegliendo anche gli esemplari più forti e resistenti».
Il fenomeno colpisce anche altre specie anche se, aggiunge Pedrotti, è meno percepibile, da un lato, perché il cervo viene spesso a morire vicino ai centri abitati e, dall’altro, perché le popolazioni contano meno animali. «Ad esempio, il rapporto cervo/capriolo - spiega il biologo - è di 10 a uno. Così per il camoscio, la cui consistenza si è dimezzata negli ultimi 10 anni».
In questo caso, si sono trovate 92 carcasse di caprioli (77 in Val di Sole e 15 nel parco naturale) e 29 di camoscio, di cui 18 nella riserva e 11 nel resto della valle.