Addio a Giovita Grigolli il fotografo dei monti
La comunità di Mori, ieri, ha salutato per l'ultima volta Giovita Grigolli.
È un uomo che ha lasciato il segno nella borgata dov'è nato, cresciuto e vissuto fino a superare il traguardo dei novant'anni. Molti moriani sono passati nel suo studio fotografico in centro storico per una fototessera o per mettersi in posa per le rituali foto in ricordo della prima comunione. Ma "Grigolfoto", come firmava i suoi scatti, era soprattutto il fotografo della montagna.
«Ha lasciato il segno a Mori e in Trentino con le sue fotografie - racconta l'assessore Roberto Caliari - anche se è sempre stato schivo come persona. Per lui parlavano le sue immagini». Fotografava le persone ma soprattutto i paesaggi: «È stato il fotofrafo delle grandi serie di cartoline: da Madonna di Campiglio alle valli di Fiemme e Fassa, al monte Baldo. Era bravissimo a "tagliare" le foto, a trovare l'inquadratura giusta alle immagini. Ci ho messo anni a convincerlo ad aprire il suo archivio, finché una quindicina d'anni fa lo abbiamo fatto e i suoi scatti sono diventati un libro realizzato su iniziativa della sezione di Mori della Sat e con il sostegno dell'allora Cassa Rurale di Mori e val di Gresta. Non è stato difficile dare un titolo a quella pubblicazione, perché lui con quel suo nome particolare veniva chiamato Giove dagli amici. Allora il libro è diventato "Le montagne di Giove", un titolo che lo rappresenta molto».
Proprio su quella pubblicazione c'è un'estratto della sua intensa vita professionale, che iniziò da giovanissimo quale apprendista nello studio fotografico di Gino Chiesura a Rovereto e andò avanti fin oltre gli ottant'anni. Anche in guerra ci andò come fotografo: «Arruolato nella seconda compagnia del Corpo di sicurezza Trenitno (Cst) grazie ai suoi trascorsi lavorativi prestò la sua opera come fotografo ufficiale dell'intero battaglione».
Dopo la guerra iniziò la sua attività con una macchina fotografica presa a prestito: era il gennaio del 1948.
Giovita Grigolli aveva anche la passione per i film: «Nel 1955 - si legge sulla pubblicazione che raccoglie i suoi scatti - compare quale direttore della fotografia del film neorealista "Honey degli uomini perduti"». Successivamente realizza un documentario sulla coltivazione del tabacco a Mori: "Foglie vellutate". Ha fissato un pezzo di storia in quel lavoro che gli era stato commissionato dal consorzio.
«Arrampicava fin da giovanissimo ed è stato tra i soci fondatori della Sat di Mori. Un precursore» spiega Caliari. Perfino sull'annuncio funebre la moglie Costantina e la figlia Antonella hanno scelto uno scatto che lo ritrae mentre fotografa arrampiacato su un'impalcatura. «Andava a fare foto in montagna quando ancora si usavano le lastre. Sue sono anche le foto delle prime salite sulla ferrata di Montalbano». È stato per anni fotografo delle Ali azzurre, sempre vicino al mondo del volo a velo senza mai prendere il brevetto. A 74 anni gli hanno fatto fare il primo (e unico) volo in parapendio dalle "prese dello Stivo" in direzione campi scuola di Bordala.