Lo studio: le aree di alta montagna si scaldano più rapidamente del resto del globo
Uno studio internazionale, pubblicato su Nature Communications, ha mappato le temperature in alta montagna in diverse zone del globo: il riscaldamento è stato molto più intenso in prossimità dei ghiacciai ed è stata rilevata anche una diminuzione della durata della stagione con neve al suolo
LE IMMAGINI Ghiacciai sotto assedio
TRENTO. Le conseguenze del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti, ma le diverse aree del nostro pianeta non si stanno riscaldando tutte alla stessa velocità.
Le aree di alta montagna soffrono particolarmente gli effetti del riscaldamento globale, ma fino ad oggi mancavano dati che coprissero ad elevato dettaglio e in tutto il mondo queste aree così delicate.
Il lavoro appena pubblicato sulla rivista Nature Communications prova a colmare questa lacuna. Un gruppo internazionale, coordinato da ricercatrici e ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e dell’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Igg), in collaborazione con il MUSE - Museo delle Scienze di Trento e la University of Texas - Austin, ha piazzato centinaia sensori per misurare la temperatura del suolo in prossimità dei ghiacciai che si trovano in diverse aree del mondo, dalle Alpi alle Ande del Perù fino alle isole Svalbard (vicino al Polo Nord).
Questo ha permesso di produrre la carta più dettagliata ad oggi esistente della temperatura nelle aree di alta montagna, in grado di rilevare le differenze che in montagna possono esistere tra zone a poche decine di metri di distanza.
Analizzando gli ultimi 20 anni, ricercatrici e ricercatori si sono accorti che alcune aree di alta montagna si stanno riscaldando ancor più di quanto atteso dai modelli globali. La situazione è particolarmente grave per le montagne delle aree tropicali e sub-tropicali, e per le zone in prossimità dei ghiacciai.
Il ritiro dei ghiacciai e la riduzione del manto nevoso, probabilmente, stanno amplificando il tasso di riscaldamento. La presenza di neve e ghiaccio può infatti tamponare l’aumento della temperatura, ma la loro scomparsa dalle aree di alta montagna di tutto il mondo sta cambiando questi ecosistemi importantissimi ad una velocità senza precedenti.
Riguardo i numeri: considerando la media annua, l'incremento delle temperature del suolo nel periodo 2016-2020 rispetto al 2001-2005 è stato consistente, soprattutto nella zona intertropicale (+0.75 °C) e nell'emisfero australe (+1.02 °C). In tutte le fasce latitudinali, il riscaldamento è stato molto più intenso in prossimità dei ghiacciai (100 m) che in aree locate a 3 km dai ghiacciai stessi: emisfero settentrionale +0.63 vs +0.34, emisfero meridionale +1.38 vs +0.79, zona intertropicale +1.13 vs +0.57.
Riassumendo, nell'ultimo ventennio le aree prossime ai ghiacciai si sono scaldate circa il doppio di quelle situate a soli 3 km di distanza.
Molto interessante anche la diminuzione della durata della stagione con neve al suolo, con pattern confrontabili a quelli di temperatura, ma ancora più evidenti. In questo caso, in prossimità dei ghiacciai i decrementi medi sono stati di circa 23 giorni nell'emisfero meridionale e 20 nella zona intertropicale, mentre di 13 giorni nell'emisfero settentrionale. A 3 km dal ghiacciaio, invece, i decrementi sono stati ridotti o nulli (nell'ordine -2, -0.5 e -4 giorni).
Anche in questo caso, riassumendo, negli ultimi 20 anni le aree prossime ai ghiacciai hanno sperimentato un fortissimo incremento medio della lunghezza della stagione senza neve al suolo: da 2 settimane a un mese per anno.
Questi dati saranno utilissimi per predire come gli ecosistemi di alta montagna si modificheranno nei prossimi decenni.
Mauro Gobbi, ricercatore dell’Ufficio Ricerca e Collezioni MUSE e coautore dell'articolo, commenta così il lavoro pubblicato su Nature Communications: «Si tratta di un lavoro di grande rilevanza del quale siamo molto orgogliosi. Grazie agli innumerevoli dati, raccolti anche dal MUSE in circa dieci anni di attività di ricerca sui ghiacciai dell'arco alpino italiano – in Trentino, per esempio, abbiamo investigato la Vedretta d'Agola nel gruppo del Brenta e d'Amola in Presanella – siamo riusciti a sviluppare modelli globali di temperatura funzionali a capire come varia la temperatura dei terreni liberati dai ghiacciai in ritiro alle varie latitudini. I risultati che abbiamo descritto nell’articolo ci aiutano a comprendere meglio come gli organismi animali e vegetali reagiscono ai cambiamenti climatici in alta quota e a capire quali sono le urgenze conservazionistiche delle quali ci dobbiamo occupare». «Ci sono infatti zone e ghiacciai – prosegue Gobbi, sottolineando i rischi che corre la biodiversità vegetale e animale degli ambienti glaciali – che stanno reagendo più velocemente di altri ai cambiamenti climatici e ciò può comportare il rischio di estinzione accelerato per alcune specie di piante e animali. Allo stesso tempo ci sono terreni limitrofi ai ghiacciai che stanno dimostrando una variabilità termica molto marcata anche a scala spaziale limitata (poche decine di metri di distanza): questo, per animali che hanno una buona mobilità - come ragni o altri insetti - rappresenta un fattore importante perché una porzione di terreno che riesce a mantenersi più fresca, soprattutto durante la stagione estiva, può fungere da area di rifugio per le specie adattate agli ambienti freddi. È evidente, però, che un generale riscaldamento così marcato del terreno nei pressi dei ghiacciai sta aumentando drammaticamente il rischio di estinzione della biodiversità esclusiva degli ambienti glaciali che, ricordiamo, è patrimonio naturalistico di ogni nazione.