Alpinismo / Tragedia

La morte di Bonmassar sul Cervino, una incredibile fatalità: il racconto dell'amico che era con lui

Michele Rossetto: «Era davanti a me, mi ha detto “arrivo” ed ha messo un piede su quel masso grande come una lavatrice, che si è staccato». Il ricordo dei tanti amici, da Cristo Re al Monte di Mezzocorona. La salma in Trentino probabilmente oggi, il funerale sabato 

di Marica Viganò

TRENTO. «Adriano ha messo il piede su quel masso, che si è mosso facendolo sbilanciare. Un masso grande come una lavatrice che, nel cadere, ha trascinato con sé la corda e l'ha tranciata. Adriano si è ritrovato senza più l'appiglio».

È una scena che ha visto e che è stato costretto più volte a rivedere nella sua mente, rispondendo alle domande della polizia del Canton Vallese, che sta conducendo le indagini, e poi riferendo ai familiari ed agli amici quanto accaduto. Michele Rossetto ha ancora nelle orecchie la voce, le ultime parole dell'amico Adriano. «Era primo della cordata. Doveva scendere di un paio di metri perché abbiamo visto che c'era una via più agevole per salire. Mi ha dato le indicazioni: "Passiamo di lì. Aspettami, Micky, che arrivo". Queste le sue ultime parole, poi l'ho visto precipitare. Anche il masso è caduto: per fortuna non ero in traiettoria. La montagna ti dà, la montagna ti toglie. Per me la montagna è sempre stata vita, ma oggi ho capito che è anche morte».

È provato Michele Rossetto: ha perso un amico, un maestro, un «mentore» come lo chiamava scherzando. L'amicizia con Adriano era nata quando l'uomo gestiva la malga di Revò. La differenza d'età non conta quando la passione è la stessa. «Lui era il mentore e io l'allievo: cosi ci chiamavano gli amici - ricorda - Da 8 anni andavamo in montagna insieme. Il Cervino era un sogno e lo scorso fine settimana c'erano le condizioni perfette».

Un sogno che è diventato un incubo. «Ho visto morire il mio amico. La montagna non è più la stessa per me».

La passione di Adriano per la montagna era nata a San Lorenzo in Banale, nella baita che il Comune dava in comodato al gruppo sportivo Cristo Re per tutta l'estate. Siamo tra le fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta. «Cristo Re era un quartiere popolare e giovane. C'erano tanti ragazzi che avevano come punto di riferimento l'oratorio. E poi c'era il nostro gruppo, che proponeva diverse discipline sportive, dal calcio all'atletica, dalla pallavolo al pattinaggio - spiega Beppe Sevignani, dirigente provinciale in pensione, storico presidente del Gs Cristo Re - E poi in estate c'erano i campeggi in baita: un paio di settimane per turno, da fine giugno a fine agosto. A volte i turni terminavano anche ad inizio settembre».

Ai campeggi partecipava anche Adriano. Ed è lì, sul Brenta, che aveva imparato ad andare in montagna in sicurezza e, come sottolineano le persone a lui vicine, la prudenza era per lui un punto fisso. «Era un ragazzo molto bravo - aggiunge Sevignani - In quelle estati ha iniziato ad appassionarsi alla montagna. A San Lorenzo non si facevano solo escursioni, ma c'erano momenti di formazione con corde e caschi, per insegnare ai ragazzi la sicurezza in parete, e poi si imparava ad arrampicare, si facevano le ferrate. Ad accompagnare i ragazzi c'era il professor Claudio Tonina. Questa gioventù aveva dentro di sè grandi risorse umane. Forse non godeva di grandi ricchezze dal punto di vista economico, ma aveva grande sensibilità e capacità di fare squadra, di essere gruppo».

E la «classe '66», quella di Adriano, aveva una marcia in più. Marco Melone, coetaneo di Adriano, ricorda la mitica trasferta Trento-Barcellona per la finale Milan-Steaua Bucarest del 1989. «Eravamo in otto, su due auto, la mia Uno turbo e la Bmw di Adriano. C'era anche Stefano Manfioletti (poi allenatore del Lavis in serie D, ndr). Fu una trasferta incredibile. Il Milan vinse 4 a 0 e conquistò la prima Coppa campioni dell'era Berlusconi. - ricorda Melone, direttore sportivo dell'Union Trento, già allenatore del Trento e del Levico - Adriano ed io ci siamo conosciuti proprio per la passione per il Milan e insieme abbiamo visto molte partite».

Melone ricorda il sorriso di Adriano. «Era solare, metteva gioia. Non credo di averlo mai visto non sorridente. Ci siamo frequentati per diverso tempo, poi abbiamo preso strade diverse, lui aveva iniziato ad andare spesso in montagna a correre, ma siamo sempre rimasti in contatto. Ci siamo incrociati la scorsa settimana: non l'avevo visto, ma ho sentito "Ehi, milanista!". Era lui che mi chiamava».

Nicola Delmarco, titolare del bar Randré, è affranto: «Siamo cresciuti insieme nel rione di Cristo Re. Eravamo anche nella stessa squadra di calcio. Siamo rimasti amici e negli ultimi tempi ci vedevamo spesso sia per lavoro che per parlare di montagna. Mi dava consigli sulle escursioni adatte alla mia preparazione, mi raccontava che il monte di Mezzocorona era la sua palestra. Sono addolorato per Rita, la sua compagna».

I contatti si erano fatti più frequenti negli ultimi anni, da quando Adriano Bonmassar aveva iniziato a collaborare con una azienda di Milano che noleggia coltelli per la ristorazione. Un lavoro che aveva «ereditato» da un altro appassionato di montagna, Sergio Zenatti, che perse la vita nel gruppo del Brenta, nel canalone Neri. Era il 2020.

La salma di Bonmassar dovrebbe giungere oggi in Trentino dalla Svizzera: i funerali saranno sabato.

 

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