Montagna / Turismo

«Folla in quota, stop al potenziamento delle aree sciabili: adeguare le reti idriche di paesi e rifugi»

Dalla val di Fiemme Luigi Casanova, presidente di Mountain Wilderness, spiega il senso della moratoria di tre-cinque anni che il sodalizio ecologista chiede alla Provincia per far fronte alla crescente pressione turistica nelle vallate trentine

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di Giorgia Cardini

FIEMME/FASSA. Se la montagna nei prossimi anni sarà destinata ad accogliere sempre più persone, dovrà essere messa in grado di sostenere una pressione e un carico che al momento comportano problemi enormi: non solo in termini di traffico e disponibilità di alloggi, ma anche di igiene pubblica e salute collettiva.

Alla luce dell'overtourism e dei problemi che questo comporta, le principali associazioni ambientaliste trentine, affiancate da alcuni importanti comitati locali, cinque giorni fa hanno condiviso l'idea che debba essere proposta alla Provincia, agli enti locali e alle categorie economiche una moratoria di 3-5 anni sul potenziamento delle aree sciabili: un triennio-quinquennio da sfruttare dirottando le risorse destinate all'aumento di portata degli impianti, al loro rinnovo o all'ampliamento delle piste da sci, sulla sistemazione di rifugi privi di scarichi e di impianti idrici adeguati, come sul potenziamento delle reti a valle, quelle che servono anche gli abitanti locali e che stanno mostrando "buchi" da tutte le parti.

Della proposta - che prossimamente sarà al centro di una intensa campagna politica e informativa - parla Luigi Casanova, presidente di Mountain Wilderness, da noi interpellato sulla notizia dei due recenti decreti penali di condanna a carico di altrettanti rifugisti fassani per la contaminazione delle acque potabili di Tamion e Vallongia, avvenuta a luglio 2023 (l'Adige di martedì).

«La montagna attrae sempre più persone - riflette l'esponente ambientalista fiemmese -, l'afflusso alle alte quote è sempre maggiore e sicuramente gran parte delle strutture ricettive non sono più adeguate a questi numeri. La colpa non è dei rifugisti, però, che sono sottoposti a rigidi vincoli e devono affrontare costi estremamente importanti (la Sat ne sa qualcosa). Ma certo, da un rifugio dove i servizi sono inadeguati, i problemi ricadono tutti a valle, nei paesi sottostanti. Succede a Sén Jan, succede a Campitello (dove in Val Duron ci sono gli stessi problemi), succede anche per l'acquedotto Stava-Pampeago, costruito negli anni '50 e dimensionato per numeri che ora non esistono più. Ma succede anche a Baselga di Piné dove in giugno, coi bacini colmi di acqua piovana, sono rimasti senza acque albergatori ed esercenti».

Il tema dell'adeguamento dei servizi idrici e fognari è insomma esploso e va affrontato in modo prioritario: «Quando consento che una seggiovia passi da 1.800 a 2.500 persone/ora, o quando aumento la ricettività dei rifugi e dei ristoranti in quota, creo le condizioni perché arrivi più gente e aumenti la pressione sui servizi a valle. Bisogna riportare equilibrio, adeguare le reti e poi - solo dopo - aumentare eventualmente il carico antropico».

Per Casanova, ora «i cittadini non sono tutelati: i sindaci sono molto attenti quando si devono potenziare le aree sciabili, pronti a concedere deroghe, ma su acquedotti e fognature sono sempre attendisti. Poi arrivano le deroghe ai valori limite e le analisi dicono che tutto è nella norma. Ma di mezzo c'è la salute delle persone».

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