Telelavoro, la Cgil alla Provincia «Va regolamentato nei contratti»

Telelavoro, smartworking, lavoro agile o altre denominazioni che per molti da semplici definizioni astratte sono diventate realtà concreta in questi mesidi emergenza epidemica.
Soluzioni che hanno permesso di coniugare la prevenzione sanitaria e la prosecuzione di molte attività professionali.
Spesso però è mancata l'organizzazione, si è avvertito il bisogno di maggiore coordinamento e soprattutto di visioni a medio e lungo termine per inserire in modo stabile forme di lavoro in remoto all'interno dei processi produttivi: come, quanto, come, con quali risultati? Con quali condizioni di stabilità e quali ripercussioni economiche per i lavoratori, per esempio, ai quali spesso si chiede di fornire a proprie spese il necessario per lo svolgimento delle mansioni a distanza (connessione Web, computer, telefono).

«Gli interventi sul lavoro agile nella pubblica amministrazione trentina, che si sono succeduti in queste settimane, rilevano una discussione ormai matura per convergere in un tavolo generale di confronto e affrontare nel merito il tema generale dell’innovazione e della semplificazione nella pubblica amministrazione», osserva Luigi Diaspro, segretario generale della Funzione pubblica Cgil del Trentino.

«Questo – prosegue - vale a prescindere dalla singole posizioni dei tanti interlocutori intervenuti. Le varie tesi – per ultime quelle espresse dai Comuni più grandi (promozione dell’esperienza dello smart working) e quella più preoccupata del Presidente del Consorzio dei Comuni per quelli più piccoli – meritano un percorso di valorizzazione e confronto, non più rinviabile, al riparo delle contrapposizioni puramente strumentali che si sono prodotte in questi mesi.

Mi riferisco in particolare a chi sostiene che l’esperienza dello smart working abbia rappresentato una sorta di vacanza ben remunerata anziché – com’è stato - uno “stress-test” notevole, realizzato in tempi e con modalità impensabili; che ha mostrato capacità di reazione e risposte da parte della Pubblica amministrazione trentina. Qualcosa insomma di cui andare orgogliosi, come amministratori pubblici sul territorio».

Oggi, al riparo dalla contingenza del braccio di ferro (attualmente sospeso) che vede il sindacato unitario contestare alla Provincia l’idea di cestinare lo smart working, è il momento di ragionare in concreto di cosa abbia portato questa esperienza in termini di efficacia ed efficienza dei servizi ai cittadini e alle imprese; di quali siano le risorse digitali e tecnologiche disponibili; di valutare il risparmio della spesa pubblica, il contenimento degli spostamenti e la riduzione dell’impatto ambientale; ancora, di analizzare le conseguenze sul sistema dei consumi.

«C’è la necessità di regolamentare per via contrattuale l’istituto dello smart working, che durante la pandemia si è tradotto, in realtà, nello spostamento delle attività dall’ufficio a casa propria, senza accordi né collettivi né individuali. Solo così, si potranno declinare gli obiettivi di efficienza, qualità e tutele».

L’invito della Funzione pubblica Cgil è dunque a istituire un tavolo generale delle Autonomie Locali, per un’analisi dell’esperienza maturata nel lockdown e nella seconda fase dell’emergenza, per condividere misure omogenee che, pur nelle differenti condizioni e nell’autonomia organizzativa dei singoli enti, valorizzino il lavoro pubblico e costituiscano strumenti di effettiva innovazione tecnologica e digitale per la maggiore tempestività ed efficacia dell’azione amministrativa pubblica».

 
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