Da giornalista a ristoratrice a Berlino
La notizia dell'apertura a Berlino, nel quartiere artistico e hipster di Kreuzberg, di un bar raw & vegan, potrebbe sembrare banale. Non vi è però niente di banale nella storia di Giulia Visci, la donna abruzzese che sta dietro al sogno di questo bar: «Officina Berlino». Per quattro anni, dal 2007, Giulia è stata alla guida della redazione cultura e spettacoli del Corriere del Trentino, cui era approdata dopo diversi anni come caposervizio al Messaggero. Nel 2011 però arriva la decisione di prendere il coraggio a quattro mani e dire addio a quel posto fisso che per molti è il traguardo di sempre, per inseguire la passione di una vita, nel luogo perfetto per ricominciare e sognare. Inizia così un avventuroso percorso gastronomico e personale, che passa da due libri, club techno berlinesi, veganismo, fornelli californiani e adesso la nuova esperienza di «Officina Berlino». Abbiamo chiesto proprio a lei di raccontarcelo.
[[{"type":"media","view_mode":"media_preview","fid":"1288966","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"180","style":"float: right;","width":"180"}}]]
Che cosa le è rimasto dell'esperienza trentina?
«È stata una sfida, di cui sono molto grata. Il Trentino è stata per me una chiave di volta pure per la scoperta della cultura enogastronomica, senza contare il fascino nello scoprire molte tradizioni radicate, di cui nel resto d'Italia si sa poco. Devo poi dire che oggi i miei migliori amici sono lì, perché se all'inizio i trentini sono diffidenti, poi ti regalano grande calore».
E poi nel 2011 la grande decisione, come mai?
«Firmando le dimissioni avevo la tachicardia e le lacrime per la squadra che lasciavo, ma Berlino è la mia ragione di vita; ci ho studiato e ci ho vissuto da prima che abbattessero il muro, prima che scoppiasse il glamour berlinese. Ho sempre voluto viverci, così sono partita senza sapere bene cosa avrei fatto. Ho dovuto rinunciare alla bresaola trentina, la base della mia dieta, e cercare nuove fonti proteiche; parallelamente scrivevo "Il nuovo nel piatto"(Ponte alle Grazie, 2012), su ingredienti poco conosciuti in Europa e poi, assieme al chirurgo Pierpaolo Rovatti, "La dieta slow aging" (Gribaudo, 2013); tutto ciò mi ha portato poi a mangiare la mia ultima pizza e diventare vegana».
C'è stato un momento del suo percorso, in cui si è ritrovata a passare dal giornalismo al lavoro notturno in uno dei più celebri club della scena techno berlinese: il Salon zur wilden Renate?
«Dopo aver iniziato a lavorare nel catering, sono stata la prima ad inaugurare il cosiddetto "food corner" nei club. Nella cultura techno berlinese, i club aprono il sabato e chiudono la domenica tardi o il lunedì mattina e gli avventori ci passano dentro ore, con momenti di relax. In due club c'era l'angolo della pizza, ma io sono stata la prima a portare piadine bio dalla Romagna, panini vegan e non».
E infine la svolta con la cucina raw del celebre chef Matthew Kenney, a Los Angeles. Che cos'è la cucina raw?
«La cucina vegana può essere cruda o cucinata; raw non significa per forza fredda, ad esempio si usa l'essiccatore, perché lavora al di sotto dei 42°, la temperatura massima dove in natura c'è vita. L'accademia di Kenney era il luogo migliore per apprendere. Il mio bar comunque avrà anche un 20% circa di cibi vegani cucinati. Anche a Berlino, che è capitale pure del veganismo, il raw è comunque ancora di nicchia».
È quindi davvero possibile cambiare totalmente la propria vita e reinventarsi?
«Sono sempre stata razionalmente folle e mi sono sempre fidata del mio istinto. Ovviamente ho avuto dubbi, la scelta non è stata affatto facile e spesso ho ripensato alle certezze che ho lasciato, ma come ho detto Berlino è il mio luogo dell'anima e la mia ragione di vita e penso che se c'è una passione forte da seguire, ogni cambiamento, per quanto difficile, sarà per il meglio».