Operata quando aveva appena 3 giorni dai chirurghi pediatrici del S. Chiara
Finché era rimasta nella pancia della sua mamma, una donna altoatesina residente con il marito in val Pusteria, era andato tutto bene. Quando è venuta al mondo, però, ai medici è stato subito chiaro che qualcosa non andava. Che la piccola era affetta da atresia esofagea, una malformazione che impediva ad Anna (utilizziamo un nome di fantasia) di alimentarsi e di crescere regolarmente in quanto il suo esofago (parte del tubo digestivo che collega la bocca allo stomaco) era interrotto.
Immediatamente è stato posizionato un sondino naso gastrico in quanto il primo sintomo di questi piccoli è di non riuscire a deglutire nemmeno la saliva. Poi il trasferito a Trento, al S. Chiara, uno tra i pochi ospedali italiano dove viene trattata questa patologia con speciale tecnica.
«La patologia di Anna fortunatamente è rara, ha un'incidenza di 1-5 casi su 10000 nati vivi e richiede un delicato intervento chirurgico nei primi giorni di vita per guarire: va ricostituita la continuità dell'esofago ed inoltre in quasi il 90% dei neonati affetti da atresia esofagea è presente anche una anomala comunicazione (chiamata fistola) tra il tubo digerente e le vie respiratorie che deve essere ricercata e chiusa durante lo stesso intervento», spiega il primario di neonatologia del S. Chiara, Massimo Soffiati che aggiunge. «La gestione di pazienti affetti da atresia esofagea è molto delicata e richiede elevate competenze neonatologiche, chirurgiche e anestesiologiche, sia nella fase di preparazione all'intervento sia, soprattutto, nella fase post-operatoria. Anna è stata operata in terza giornata di vita e l'intervento è perfettamente riuscito».
Lo «scriciolo» è stato trasferito in elicottero a Trento e quindi sottoposto al delicato intervento. Per ore l'equipe di chirurgia pediatrica, guidata dal dottor Michele Corroppolo, coadiuvato dal dottor Hamid Reza Sadri e da Giosuè Mazzero, tutti professionisti che fanno parte del reparto diretta dal primario Mario Andermarcher, ha lavorato alla ricostruzione dell'esofago. L'intervento è stato eseguito in toracoscopia. È stata effettuata un'incisione di pochi millimetri sull'emitorace destro e poi i professionisti hanno proceduto dapprima a isolare e legare la comunicazione anomala tra esofago e trachea e poi riunito due monconi esofagei. «Questo tipo di intervento in toracoscopia viene effettuato solo in altri cinque centri italiani oltre che nel reparto di chirurgia pediatrica di Trento e garantisce oltre che una migliore ripresa post-operatoria anche un risultato estetico ottimale dal momento che le cicatrici cutanee a distanza di pochi mesi risultano difficilmente visibili», spiega il chirurgo Corropolo.
L'intervento è perfettamento riuscito tanto che la piccola, pochi giorni dopo aver effettuato una radiografia per verificare la tenuta dell'esofago nel punto dove i due monconi erano stati ricongiunti, ha potuto iniziare a nutrirsi via bocca. La neonata è rimasta ricoverata nel reparto di neonatologia, prima in terapia intensiva, poi in terapia sub-intensiva, per circa tre settimane. I genitori di Anna sono sempre stati presenti in reparto accanto alla loro bambina. Durante la degenza hanno trascorso momenti non facili: dal momento della gioia per la nascita hanno dovuto affrontare la comunicazione della «cattiva notizia» con tutte le paure legate ai rischi per l'intervento in un neonato, alle possibili criticità nella fase post-operatoria e alla necessità di successive visite di controllo per un lungo periodo dopo la dimissione.
Da qualche settimana Anna è tornata a casa e potrà «festeggiare» il Natale circondata dall'affetto dei suoi genitori. Mangia senza problemi il latte della sua mamma ed ha già ripreso a crescere in modo ottimale. «La storia di Anna conferma ancora una volta che il buon esito delle cure nei piccoli pazienti dipende soprattutto, come già accaduto in passato per tutti i bambini trattati per questa ed altre malformazioni, dal costante lavoro di collaborazione multidisciplinare tra neonatologi, chirurghi pediatri ed anestesisti. La collaborazione tra questi specialisti permette di pianificare il percorso di cura ottimale per ogni piccolo paziente e di risolvere, nei limiti del possibile, i problemi che possono verificarsi durante la degenza, anche per la presenza di possibili ulteriori malformazioni associate», spiegano i membri dell'equipe. L'intervento in questione, poi, è la conferma della sempre maggior collaborazione tra la sanità trentina e quella altoatesina che, là dove necessario, riescono a superare i confini geografici nel nome dell'ottimizzazione delle cure.