Farmaci biosimilari, ricerca a Trento contro i linfomi
Si chiamano biosimilari e come i farmaci generici sono venduti senza nome di fantasia. Dal punto di vista terapeutico sono equivalenti ai medicinali biologici e la novità di questi giorni è che l’Aifa ha presentato un documento nel quale dà il via libera all’intercambiabilità tra farmaci biologici «griffati» e biosimilari consentendo ai medici di scegliere. Un via libera che consentirà un forte risparmio per la sanità italiana.
L’Azienda sanitaria trentina su questo è già «avanti». A novembre ha infatti iniziato ad utilizzare un particolare farmaco biosimilare per la cura dei linfomi e in questi giorni verrà avviato uno studio pilota di cui Trento risulta capofila.
Per questo è di grande attualità il convegno che si è tenuto giovedì a Trento proprio sul Rituximab a cui hanno partecipato, oltre ad Annalisa Campomori, direttrice della Farmacia del S. Chiara di Trento, anche Giuseppe Traversa, dell’Istituto superiore di sanità, e Armando Genazzani, docente di farmacologia dell’Università.
L’Azienda sanitaria ha iniziato ad utilizzare farmaci biosimilari già dal 2007, quando venne messo ul mercato il primo biosimilare che agiva sull’ormone della crescita. Da lì è iniziato un lavoro di collaborazione tra farmacisti, clinici del settore ma anche medici e pediatri del territorio perché l’inserimento di questi farmaci consente da una parte di avere gli stessi risultati ma dall’altra di ridurre notevolmente i costi. Si parla di 400 mila euro all’anno solo per il Rituximba, il farmaco su cui era concentrata l’attenzione nel corso del convegno di ieri. Se però guardiamo tutti i biosimilari utilizzati dall’Azienda il risparmio nel primo semestre 2017 è stato di 854 mila euro che potrebbe arrivare ad oltre 1.200 mila euro se venissero utilizzati in maniera esclusiva.
Nel corso della giornata di ieri è stato inoltre presentato lo studio osservazionale (Studio osservazionale sulla sicurezza dell’Uso del farmaco Rituximab in Ematologia -S.U.R.E.) che coinvolgerà tutti i pazienti che per curare la patologia di cui sono affetti (circa 100 in Trentino) e che ricevono questo farmaco. «Lo studio ha lo scopo di migliorare le conoscenze sulla sicurezza, efficacia e qualità della vita nei pazienti utilizzatori del rituximab nella normale pratica clinica», spiega la dottoressa Campomori.
Durante lo studio saranno raccolti i dati relativi all’utilizzo del Rituximab, le eventuali reazioni avverse al farmaco e sulla qualità della vita dei pazienti, con lo scopo di migliorare le conoscenze sulla terapia e sullo stato di salute del paziente.
Il Rituximab è stato immesso sul mercato nel 1998 per il trattamento dei linfomi e ciò ha consentito una maggiore sopravvivenza dei pazienti. Nel corso del 2013 il brevetto è scaduto e così sono arrivati i farmaci biosimilari. «A luglio sono usciti due grossi studi randomotizzati per ematologia e a quel punto con le ematologhe ne abbiamo deciso l’approvvigionamento e la messa a disposizione. Attualmente il biosimilare viene utilizzato nel 90% dei casi con un risparmio del 28%. Se si considera che è il terzo farmaco più costoso in Azienda (1.287.000 euro all’anno) il risparmio stimato è di circa 400 mila euro all’anno», spiega la direttrice della farmacia.
Allo studio, coordinato proprio dal dottor Giuseppe Traversa dell’istituto superiore di sanità, hanno aderito 7 grosse realtà nazionali, tra cui l’Umberto I di Torino e coinvolgerà circa 1.400 paziente.