Sui pattini, tra sport e amarcord Quando c'erano oratori e laghi
Strutture a portata di mano, costi decisamente accessibili, facilità nell’imparare, divertimento assicurato: è il pattinaggio. Durante l’inverno in Trentino le possibilità di fare sport sono naturalmente parecchie: lo sci, innanzitutto, nelle sue varie specialità. E poi le ciaspole o la slitta. Ma indossare un paio di pattini e andare a divertirsi per qualche ora sul ghiaccio è decisamente l’attività più alla portata. Si può iniziare fin da piccolissimi, già all’asilo, e poi andare avanti per sempre, considerato che l’impegno fisico e atletico è decisamente relativo.
Poi, ovviamente, c’è l’agonismo, con le quattro macro aree di sport sul ghiaccio, a loro volta divise in tante specialità e categorie diverse: artistico, hockey, velocità e curling. E il Trentino, o meglio il Trentino Alto Adige, da decenni è protagonista in tutte queste: se la nostra provincia va fortissimo nella velocità e nel curling, con atleti e strutture al top a livello internazionale, i cugini altoatesini sono tradizionalmente maestri nell’artistico, con la mitica Carolina Kostner, e nell’hockey, con il Bolzano che è un po’ la Juventus del ghiaccio, ovvero la società con più scudetti (ben 19, e in questo caso senza discussioni sui numeri: tutti vinti sul ghiaccio), ma anche il Renon (che ha conquistato gli ultimi tre titoli, da quando in pratica il Bolzano gioca nel campionato austriaco), senza dimenticare i «lupi» del Brunico.
Se c’è chi pattina per diventare un campione, e in questo caso spirito di sacrificio, abnegazione e impegno sono le doti fondamentali, c’è anche chi lo fa per purissimo divertimento. Scivolare sul ghiaccio è rilassante e permette di stare insieme. Come dicevamo si tratta di un’attività non particolarmente costosa: i pattini costano poche decine di euro, ma si possono sempre noleggiare, e l’ingresso nei vari palazzetti varia indicativamente tra i 3 e i 6 euro. Per il resto non serve un abbigliamento particolare, se non i guanti che sono sempre utili in caso di cadute.
Sul dove pattinare, negli ultimi anni le possibilità si sono diradate. Nelle città e nei centri turistici maggiori esistono gli appositi palazzetti, ma quelli che sono venuti a mancare nel tempo (per le temperature, certo, ma anche per problemi burocratici e assicurativi) sono i campetti, spesso all’interno degli oratori, che nella stagione invernale, almeno da dicembre a febbraio, si trasformavano in piastre di ghiaccio, utilissime per chi volesse imparare e muovere le prime curve sulle lame. Basti pensare che a Trento città si potevano sfruttare i, più o meno grandi, pattinaggi di Piedicastello, Cristo Re, Santa Maria, Santissimo, San Giuseppe, ai quali aggiungere quelli dei vari sobborghi. E poi, almeno fino ai divieti emessi dai sindaci a partire dagli anni Novanta, una volta si poteva correre sui pattini anche su molti laghi del territorio. Un’esperienza bella e poetica, ma anche pericolosa e quindi vietata. Anche perché, con il riscaldamento climatico ormai sono pochi gli specchi d’acqua che gelano in inverno e, se lo fanno, lo spessore del ghiaccio è di pochi millimetri.
L'AMARCORD: PATTINI NEGLI ORATORI E SUI LAGHI
Si dice che nei Paesi scandinavi si pattinasse già nel 3.000 a.c. Poi ci sono le immagini dei canali olandesi ghiacciati e dei campi dove i nobili potevano scivolare con eleganza. E ancora i laghi canadesi o delle regioni alpini sui quali si poteva correre in equilibrio sulle lamine. Senza dimenticare le scene dei film o i libri, con la storia dei Pattini d’argento che ha fatto sognare tante generazioni o il giovane Holden che va con l’amica Sally a pattinare nel centro di New York.
Il pattinaggio è di tutti e per tutti: ci sono gli aspetti sportivi, perché sul ghiaccio si può correre (le specialità di velocità) ma anche danzare (l’artistico) e pure rincorrere un disco e prendersi a pugni in faccia (hockey), ma anche e soprattutto quelli sociali e storici. Perché d’inverno, magari durante le feste di Natale, quando lo sci non era ancora un’attività sviluppata, l’alternativa era una sola: andare all’oratorio (i palazzetti sono arrivati molto dopo) e di sera rilassarsi sul ghiaccio, sfidandone la viscidità. Un modo per stare insieme, per divertirsi, magari anche per prendere per mano l’amico o l’amica, sperando che, con la scusa dell’equilibrio da trovare, grazie a quel giro potesse poi nascere qualcosa. I più bravi, o meglio le più brave, provavano poi ad andare all’indietro, a disegnare spirali e cerchi sulla superficie, a fare qualche balzo o qualche piroetta, cercando di trovare grazia e leggiadria nei movimenti.
Anche a Trento e in tante località del Trentino una volta ogni cortile di oratorio si trasformava in un pattinaggio. Magari alla buona, ma comunque perfetto per una serata d’inverno. Chi ha meno di quaranta anni forse ne avrà solo sentito parlare o avrà visto qualche foto in bianco e nero, ma in città i posti erano tanti: il Santissimo, ad esempio, con il campetto dietro la chiesa che d’inverno diventava una affascinante lastra. Oppure Santa Maria, dove d’estate si correva dietro a un pallone ma d’inverno si poteva sfrecciare sul ghiaccio. E ancora Piedicastello, San Giuseppe e Cristo Re.
«Ma il più antico era quello di piazza Venezia, proprio dove adesso ci sono i campi da tennis. Lo gestiva il Circolo Sportivo Trento, col presidente dottor Giuliani e l’allenatore Bruno Canteri: lui aveva un’azienda di serramenti, ma d’inverno mandava tutti i dipendenti in ferie e lui andava a insegnare pattinaggio». A raccontare è Guido Tomasi, una vera e propria istituzione dello sport cittadino: il pattinaggio, ma anche pallavolo e calcio. E uno di quei personaggi romantici, che con aneddoti, storie e racconti sanno far emergere l’epicità dei tempi che furono. «Vedi, a quei tempi c’erano i maghi del ghiaccio, come Saverio de Tisi o Clemente Tomasi, che era di Baselga di Piné ma tutti lo chiamavano Cletom. Quest’ultimo salvò le Olimpiadi invernali di Cortina, nel 1956: al lago di Misurina dovevano esserci le gare di pattinaggio, ma viste le temperature rigidissime, fino a meno 27 gradi, il ghiaccio si crepava. Il responsabile olimpico, un certo Johnson, era pronto ad andare a dire alla stampa che per motivi tecnici le gare sarebbero saltare. Ma Cletom gli disse “Mi dia 12 ore”. Andò a Bolzano a prendere delle seghe a mano, convocò decine di Alpini e preparò delle passerelle. Inutile dire come andò a finire: le gare si disputarono. E il de Tisi? Con lui si andava la notte a controllare le piste prima delle varie manifestazioni. Si sdraiava di pancia sul ghiaccio, io lo tiravo per le gambe e lui con una moneta da 50 lire faceva delle croci dove c’erano dei dislivelli e poi sistemava tutto».
Storie d’altri tempi, romantiche e antiche. «Le racconto anche questa, del mitico Trofeo Nicolodi: al buon de Tisi restavano solo poche settimane di vita, ma lui voleva assolutamente essere presente. La moglie mi disse di portarlo, ma gli vietò di andare a fare il ghiaccio. Nascosi le chiavi della camera d’albergo, ma il giorno prima, intorno alle 3 di notte, lui scomparve. Si era calato dalla grondaia e lo trovammo, ovviamente, allo stadio intento a controllare il ghiaccio. E si arrabbiò pure: “Lasciami qui a fare quello mi piace fare”, mi urlò vedendomi arrivare».
Tempi (e persone) che furono, dicevamo. Anche nel pattinaggio. «Eh già - sospira Tomasi - è cambiato tutto. Adesso ci sono i palazzetti e gli stadi, i macchinari per rendere il ghiaccio perfetto. In trent’anni di corsi a Trento abbiamo insegnato a pattinare a 6.000 bambini, sperando di trovare qualche campione. Una volta era più facile, si imparava andando sui laghi, a Piné o Lavarone o Santa Colomba o al lago Smeraldo e poi negli oratori, con i pattini da noleggiare e un tè caldo che non mancava mai. Fare il ghiaccio era un’arte, bastava poca acqua, anche se qualche sapientone a volte ne gettava troppa. E poi ci vuole il freddo, tanto freddo. Lo spessore? Bastano 5 centimetri, purché sia uniforme dappertutto: non lo dico io, ma degli studi fatti dai militari quando volevano passare sui laghi con i carri armati».
A CANEZZA: UN PIAZZALE GHIACCIATO
«La ricetta è semplice: buttare acqua e poi sperare che geli. Noi facciamo ancora come si faceva una volta, tifando perché la notte le temperature scendano». A fare alla vecchia maniera è in realtà un ragazzo di 31 anni, insieme al gruppo del Circolo pattinatori Canezza: lui, Luca Pallaoro, è il presidente. «Sai come vanno queste cose: nessuno voleva e alla fine l’ho fatto io», sorride.
La tradizione dei pattini nella frazione di Pergine va avanti dal 1983. Sono cambiate le generazioni, ma non certo lo spirito.
«Nell’associazione siamo una trentina di persone e ogni inverno ci diamo da fare per il nostro campo di pattinaggio. Teniamo aperto circa tre mesi, da dicembre a febbraio, ma tutto dipende dalle temperature. Speriamo calino un po’, così riusciremo a fornire il servizio anche durante Carnevale. Il momento clou è quello durante le vacanze natalizie: il nostro scopo è fare in modo che bambini e adolescenti non se ne stiano a casa ma vengano all’aria aperta, a fare sport e divertirsi».
E così il piazzale di circa duemila metri ogni inverno cambia volto. D’estate, almeno fino a qualche tempo fa, c’erano le porte da calcio, mentre d’inverno c’è il ghiaccio. E la piccola baracca a fianco si è ingrandita, diventando una sorta di bar e spogliatoi.
«Era nata per le galline, ma poi negli anni l’abbiamo ampliata. È comoda perché possiamo tenere i pattini da noleggiare, poi c’è un piccolo bar e uno spogliatoio. Un tè caldo o un brulè non mancano mai. E i prezzi sono assolutamente accessibili: 2 euro per l’ingresso e 2 per il noleggio. Possiamo fare così perché naturalmente i nostri costi di gestione sono diversi rispetto agli stadi. Ma tanto quello che guadagniamo lo reinvestiamo prendendo pattini e l’anno prossimo ci piacerebbe avere i pinguini per i bambini che vogliono imparare: tanti genitori li hanno richiesti e vedremo di recuperarne un po’».
In questi giorni le aperture sono il giovedì e venerdì sera, oltre naturalmente a sabato e domenica. In attesa di qualche appuntamento per il Carnevale.
«Il giorno più importante per noi è la Befana: quest’anno c’erano almeno 300 persone, con i bambini scatenati per l’arrivo della vecchietta. Poi durante le feste e i weekend siamo tra le cento e le duecento persone: bene o male sono sempre le stesse, ma c’è gente di tutte le età, dai bambini dell’asilo fino agli adulti. Devo dire che la nostra pagina Facebook ci ha aiutato molto, perché è girata la voce del nostro pattinaggio e non vengono più solamente famiglie di Pergine e dintorni. Inoltre abbiamo il link a una webcam che fa vedere sempre in diretta quanta gente c’è».
L’acqua per creare il ghiaccio arriva dal torrente Fersina, poi c’è il lavoro per mantenere e pulire. Lo spessore medio del ghiaccio in tutto il piazzale si avvicina ai dieci centimetri e ogni anno il Circolo cerca di proporre qualche novità e ammodernamento. Così i bambini possono divertirsi, le mamme tenere d’occhio la situazione e i papà bersi un meritato brulè.
LA FEDERAZIONE
Un movimento vivace, in crescita, che tiene altissimi i colori del Trentino non solo in Italia ma soprattutto nel mondo. Alla guida della Federazione Italiana Sport del Ghiaccio c’è da qualche mese Paolo Deville, che ha preso il posto dello storico presidente Luigi Saltori.
«Il nostro è un piccolo mondo, ma è vero, stiamo andando bene. Esaltarsi non serve a nulla, ma ci godiamo i successi: nella velocità abbiamo atleti affermati e altri di ottima prospettiva, nell’artistico abbiamo appena organizzato i campionati italiani ricevendo grandi complimenti per l’organizzazione e abbiamo vinto una importante serie di medaglie. Nel curling c’è l’enclave cembrana che è al top nel mondo, con molti ragazzini giovani destinati a sostituire i campioni, e nell’hockey stiamo facendo un lavoro in prospettiva, ma c’è entusiasmo e con un pizzico di pazienza i risultati arriveranno. E poi le Olimpiadi del 2026 che potremmo ospitare daranno lustro al movimento».
E proprio nell’hockey a fine marzo tornerà il Torneo del Cucciolo, con 150 under 9 a Pergine, in una manifestazione insieme ad Aido.
«Vincere nella vita è più importante di vincere una partita. Le idee, ad esempio, dell’Aquila Basket di porre grande attenzione al sociale sono vincenti ed è anche su quello che vogliamo puntare come Federazione. Meglio un bambino intelligente che un campione cretino e quindi vogliamo sensibilizzare sempre più atleti e famiglie a questi aspetti».
Capitolo strutture: per crescere nei numeri (ad oggi gli atleti tesserati sono circa 2.000 - 867 nell’hockey, 617 nell’artistico, 300 nella velocità e una trentina nel curling - con 136 tecnici)sarebbe bello tornassero in voga i «vecchi» pattinaggi all’aperto.
«Le strutture per l’agonismo non mancano e sono decisamente belle. Però è vero, qualche campetto all’aperto in più potrebbe avvicinare i ragazzini al mondo del ghiaccio».