Pesci poveri e scarti diventano ricchezza: ecco l’ecopesce
Pesci poveri, anzi poverissimi, anzi scartati per scarsa dignità, perchè non vanno di moda (orata, branzino, tonno, merluzzo, gamberi, calamari e poco altro è la richiesta) oppure parti di pesci più nobili destinati al cestino: nell’epoca dell’economia circolare, del riuso e del riciclo creativo arriva l’Ecopesce, un progetto che si fonda sul recupero e sul valore del lavoro del pescatore. Lo promuove l’imprenditore Roberto Casali, con la sua azienda di “Economia del mare” nata 5 anni fa a Cesenatico. E’ l’unico per ora ma il tema della sostenibilità del pescato, delle risorse non infinite del mare e dei suoi abitanti è di grande attualità: i pesci non sono più abbastanza, i modi in cui si pesca spesso impattano con l’ambiente (le vongole ad esempio sono catturate con le turbo draghe, uno degli attrezzi più violenti per il fondo marino) e l’unica soluzione per quanto impopolare sembra essere quella di pescarne meno, mangiarne meno, mangiarlo meglio, come spiegato da Greenpeace a Fa’ la cosa giusta 2019, significa anche dare un valore etico a quel pesce. E ai pescatori: l’ittiturismo sta conquistando sempre più persone: si passa una giornata con il pescatore, si vede il suo lavoro, si impara a rispettare il mare e poi si cucina in barca o nelle loro case. E’ un tipo di turismo esperienziale e consapevole su cui si comincia a contare perchè sempre di più sono le persone che capiscono il valore della pesca artigianale e della salvaguardia dell’ambiente. Paolo Fanciulli, il pescatore maremmano di Talamone, ambientalista convinto con la sua Casa dei Pesci, è uno dei più noti promotori dell’ittiturismo.
Utilizzare tutte le parti del pesce, lavorare anche specie ittiche non di tendenza - oltre 700 specie ittiche in Italia ne usiamo appena 25, il resto le consideriamo scarto - imparare le alternative sono alcune delle buone pratiche.
Il risultato, con Ecopesce sono ravioli con polpa di scarto, totani e patate, piadina con filetto di cefalo, burrata e cipolla caramellata, polpettine di pesce e una deliziosa moffettina ossia un sugo di scarti di pesce e briciole di pasta avanzate dalla lavorazione dei ravioli. L’avventura di Ecopesce-Economia del mare, è diventata una filiera virtuosa che dà lavoro a sette persone e propone prodotti di qualità, presto anche disponibili in sughi pronti da commercializzare attraverso i gas, i gruppi di acquisto. Alla fiera l’offerta è libera e consapevole, “un modo per responsabilizzarci tutti sul valore di quello che mangiamo”, spiega. Con lui lo chef Vincenzo Aliberti che al Doc di Cesenatico porta questi prodotti in tavola in un locale di vino e “cibo da banchina”. “Scegliamo esclusivamente pesce del nostro mare l’alto adriatico e solo pesce selvatico, prendiamo tutto il buono dal mare, pesce semplice, naturale, ricco di valori nutrizionali, esaltiamo la ricchezza del prodotto povero. Con macchinari di alta tecnologia traformiamo manualmente il pesce di stagione appena arrivato per una garanzia di estrema qualità certificata dal Ciri di Bologna”, racconta all’ANSA Casali.
Come è nata l’idea dell’ecopesce? “Mi sono reso conto che alcuni miei amici pescatori erano spesso costretti a gettare nelle acque del porto una parte del pescato, perché i grossisti lo rifiutavano -ricorda-. Si tratta di pesce in eccedenza, creata dal fatto che in alcuni periodi dell’anno si pesca di più”. Per Roberto era inaccettabile che tanto cibo e tanto lavoro venisse perso. “I pescatori salvavano i contenitori di polistirolo, che valevano di più del contenuto. Pazzesco!”. Ecopesce oggi dà lavoro a sette persone. “Abbiamo avviato una filiera che lavora le eccedenze -spiega-. Facciamo filetti, polpa di pesce, sughi. Siamo riusciti a costruire macchine che riescono a lavorare il pesce piccolo dell’Adriatico”. Hanno un punto vendita a Cesenatico, forniscono ristoratori e supermercati.