Assalto ai medici di base, il dottor Zeni: "ore e ore di telefonate, lavoro dalle 7 alle 17, così non ce la facciamo"
«Amo il mio lavoro, ma talvolta mi sento solo. Solo in una battaglia contro i mulini a vento». Il dottor Maurizio Zeni è medico di medicina generale a Cristo Re a Trento.
La pandemia ha cambiato anche l’impegno in ambulatorio: «Le persone sono preoccupate, si informano su internet poi chiedono consiglio a noi, medici di base. Se non avessi una segretaria molto brava nella gestione delle chiamate non potrei lavorare - racconta - In cinque ore abbondanti ho sostenuto il carico telefonico di circa quaranta telefonate, al punto che poi le linee sono cadute. Si sono aggiunte anche richieste “burocratiche” tra certificazioni Inps, Inail, ricette. E questo oltre alle visite. Non voglio assolutamente incolpare l’utenza, anche perché il clima di paura della pandemia giustifica tale atmosfera e l’assalto al fortino ambulatoriale, ma non si lavora con serenità e con la giusta calma necessarie per indagare un sintomo, un dubbio, per impostare un percorso diagnostico corretto e si rischia di sbagliare».
Il dottor Zeni - un’esperienza trentennale alle spalle - evidenzia come la professione sia cambiata negli anni, con un impegno che è via via aumentato e con il rischio che, dati gli imminenti pensionamenti, fra 3-4 anni potrebbe manifestarsi una carenza di medici di medicina generale.
La pandemia sta mettendo a dura prova la tenuta del “sistema”, al punto che il dottor Maurizio Zeni propone di proseguire sulla strada delle Atf, le Aggregazioni funzionali territoriali, ossia associazioni di più medici e personale dedicato in una struttura unica. «Il progetto, sostenuto dall’ex dirigente dell’Azienda sanitaria provinciale Paolo Bordon, è tramontato. Ma la direzione è quella giusta: poliambulatori, che in Emilia Romagna chiamano “case della salute”, con medici che si danno il turno dalle 8 alle 19 - sottolinea il dottor Zeni - In questo modo si potrebbe lavorare in equipe, discutere dei casi clinici, prevedere spazi per ambulatori infermieristici e specialistici.
A Trento sono “in rete” con sette colleghi, ma sparsi sul territorio. Parto la mattina alle 7 e se va bene torno a casa alle 17. Forse proprio per questo impegno il nostro lavoro è poco ambìto. Ci sono infettivologi, internisti, immunologi che parlano di ammodernare la medicina di base: mi domando quanti di questi esperti siano mai entrati nei nostri ambulatori ad assistere all’affollamento, alle richieste di ogni genere spesso rinviabili a tempi più tranquilli ma a tutt’oggi pretese in tempi rapidi. Molti professionisti non sanno nulla del nostro lavoro. Occorrono risposte rapide dato che andiamo incontro ad un ricambio generazionale. Andrò in pensione fra due anni e come me lasceranno il lavoro numerosi medici: stiamo pagando errori di programmazione del passato, come il numero chiuso nelle università».