Salute / Prospettive

All'ospedale di Rovereto la protesi alla caviglia "su misura": dalla Tac alla modellazione in 3D

Il primario dottor Cortese relaziona al convegno Trauma Meeting: casi in aumento esponenziale, legati all’aumento dell’aspettativa di vita negli anziani
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di Giancarlo Rudari

ROVERETO. «Negli ultimi anni stiamo assistendo, in Trentino come nel resto d'Italia, ad un aumento delle protesi alla caviglia. Protesi che vengono applicate non per ridurre una frattura ma per trattare l'insorgere di artrosi di caviglia precoce». Fabrizio Cortese, direttore di ortopedia e traumatologia del Santa Maria del Carmine e presidente nazionale della società degli Ortopedici e traumatologi ospedalieri d'Italia (Otodi) ha esposto al Trauma Meeting 2024, il congresso più importante sulla traumatologia, le metodologie e le tecnologie applicate per la riduzione delle fratture e le complicanze.

Il dipartimento ortopedico trentino, ed in particolare la divisione di ortopedia, è stato protagonista al convegno di Riccione con la presentazione di ben quattro relazioni dagli alti contenuti scientifici dando soprattutto spazio ai giovani ortopedici della provincia che hanno condiviso le loro esperienze con i colleghi (quasi 2000) arrivati da tutta Italia. Oltre a Cortese sono intervenuti i colleghi di Trento Luigi Branca Vergano, di Tione Fabrizio Cont e di Cavalese Marco Molinari.

Inoltre gli ortopedici trentini si sono confrontati per la prima volta con la società internazionale di traumatologia (Iota) il cui presidente Ted Miclau ha coordinato con il dottor Cortese la prima sessione internazionale.

«Negli ultimi dieci anni c'è stata un'impennata delle protesi della caviglia: possiamo stimare un più 700%. Stiamo parlando di 1.500 interventi l'anno a fronte di 150mila protesi d'anca. Nello specifico 35 sono le protesi effettuate al Santa Maria del Carmine».

Un fenomeno insolito che emerge soltanto ora? Come mai?

Il mio intervento si è concentrato sul trauma della caviglia e di come evitare l'artrosi che insorge a distanza di anni o come trattarla mediante l'impianto di protesi di caviglia che è un po' il nostro fiore all'occhiello. I numeri sono in crescita esponenziale ma consideriamo che si partiva da numeri molto bassi per vari motivi: non c'erano protesi tecnologicamente avanzate, mentre ora il taglio della protesi viene adattato sul singolo paziente.

Come funziona?

Facciamo uno studio Tac in base al quale si ottiene un modellino con una stampante 3D che ci consente di personalizzare la protesi sulle condizioni del paziente. Voglio chiarire che le protesi vengono fatte non nell'immediato, non sulla frattura, ma sugli esiti a distanza.

Quando si può manifestare l'insorgenza dell'artrosi?

La soluzione migliore è prevenire la comparsa di una pseudoartrosi e per questo motivo bisogna conoscere le cause che possono determinarla. I processi che possono impedire la consolidazione di una frattura possono essere legati alle condizioni generali del paziente, ma anche alle condizioni locali.

Le fratture alla caviglia, un'articolazione complessa sottoposta al carico e difficile da trattare chirurgicamente, non interessano soltanto l'osso ma possono avere riflessi in maniera negativa sui tessuti circostanti. In queste condizioni può manifestarsi un'artrosi a distanza: stiamo parlando di circa il 20% dei casi che richiedono interventi chirurgici specifici.

Il riferimento è alle persone anziane che devono essere trattate per una frattura?

Non solo anziani: parliamo anche di giovani che praticano (e non necessariamente a livello agonistico) discipline sportive come la mountain bike piuttosto che il downhill se non l'arrampicata. Nelle persona anziane parliamo ovviamente di cadute in bagno o da una scaletta che sono abbastanza frequenti. Queste fratture hanno due picchi: uno sui 30 anni e uno dopo gli 80. Non tutte le persone che riportano fratture hanno ovviamente bisogno della protesi che vengono effettuate solo nei casi di artrosi.

Un altro tema che è stato oggetto di confronto al congresso nazionale di Otodi a Riccione è la "crisi di vocazione" per la specialità…

Per questa professione le sfide non sono soltanto tecniche. A livello nazionale dobbiamo fare i conti con una carenza di specialisti. Molti giovani colleghi che lavorano in ospedale non si sentono realizzati e non vedono grosse prospettive di carriera, tanto che il 15% pensa di cambiare lavoro entro 5 anni.

Insomma l'ortopedia ospedaliera si troverà con pazienti sempre più anziani e complessi da gestire, ma anche con sempre meno colleghi.

E la situazione in Trentino?

Fortunatamente da noi non c'è questa crisi di vocazioni. Il Trentino in generale vive una situazione decisamente migliore rispetto al resto d'Italia dove c'è una grossa problematica nel trovare giovani ortopedici. Da noi non succede: ci sono gli specializzandi con le borse pagate dalla Provincia che poi si fermano a lavorare in Trentino. Questo è un fatto positivo: fino ad oggi non troviamo fatica a trovare chi lavora, forse anche per la buona qualità della sanità trentina.

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