Trento, il centro di protonterapia in dieci anni ha curato 2.400 persone
Si tratta dell'unica struttura simile completamente pubblica in Italia: questa cura specifica contro i tumori ha registrato per il 20% a pazienti trentini e altoatesini, il 70% sono provenienti da fuori regione e il 10% dall'estero
TRENTO. Il 22 ottobre di dieci anni veniva trattato il primo paziente nel centro di protonterapia di Trento. Questa mattina, alla presenza dell'assessore alla salute Mario Tonina, del direttore generale di Apss Antonio Ferro e di quanti in questi anni hanno collaborato con il centro di Trento - sottolinea Apss in una nota - sono stati illustrati i traguardi raggiunti.
Il Centro di protonterapia, unico centro completamente pubblico in Italia, serve i pazienti trentini e altoatesini (circa 20% dell'attività) ed è anche a disposizione, circa il 70% del suo volume di attività, di pazienti provenienti da fuori regione e per il 10% per pazienti provenienti dall'estero.
Ad oggi, il Centro ha trattato più di 2.400 persone, 1.800 adulti e 600 bambini, tutti rientranti nelle categorie coperte dai Livelli essenziali di assistenza (Lea) e attualmente autorizzati, per i pazienti provenienti fuori dal Trentino, su base individuale, vista l'attivazione del Nomenclatore tariffario nazionale ormai prevista non prima di gennaio 2025.
Dopo l'avvio clinico del centro nel 2014 e il primo trattamento di un paziente pediatrico nel 2015, sono state introdotte diverse nuove tecniche di trattamento mutuandole dalla radioterapia con fotoni, come la verifica del trattamento near-line, l'imaging pre-trattamento on-line, il gating respiratorio per il trattamento di tumori che si muovono con il respiro, la radiochirurgia e, più recentemente, i trattamenti quasi-rotazionali implementati a Trento per la prima volta al mondo.
"Una eccellenza che ben si integra al territorio e sulla quale stiamo investendo con prospettiva: voglio infatti ricordare che sta proseguendo l'importante iter per la realizzazione del nuovo Hospice pediatrico trentino, che sorgerà in un'area strategica vicina al Centro di protonterapia e al Polo ospedaliero universitario, un progetto che segna un ulteriore passo verso l'integrazione dei servizi sanitari per rispondere in maniera sempre più efficace e soprattutto umana alle necessità dei pazienti più giovani e delle loro famiglie", ha commentato l'assessore provinciale alla salute, Mario Tonina.
La protonterapia è una forma particolare di radioterapia che utilizza, al posto dei raggi-X ad alta energia (fotoni), particelle elementari dotate di massa e carica (protoni). I protoni rilasciano la loro energia nei tessuti irradiati in maniera caratteristica: la dose è infatti depositata quasi interamente, con estrema precisione, nello spazio di pochi millimetri.
Questa proprietà li rende particolarmente adatti alla somministrazione di dosi elevate al tumore, risparmiando al contempo i tessuti sani circostanti la lesione.
L’idea di trattare i tumori con i protoni risale alla metà degli anni Quaranta; lo sviluppo della protonterapia è risultato tuttavia abbastanza lento, anche a causa della complessità delle apparecchiature necessarie. Le prime strutture di protonterapia sono state realizzate all’interno di laboratori di fisica nucleare dove erano già presenti i macchinari adatti ad accelerare e indirizzare sul bersaglio i protoni.
Solo a partire dai primi anni Novanta sono state realizzate strutture sanitarie dedicate esclusivamente all’uso terapeutico; attualmente, nel mondo, sono operativi più di quaranta Centri e molti altri sono in via di progettazione o costruzione.
Il trattamento con protonterapia è particolarmente indicato in situazioni cliniche difficili: in caso di lesioni in vicinanza di organi sensibili, in regioni anatomiche complesse, in caso di lesioni tumorali impegnative per forma e volume e in età pediatrica.
In questi casi, grazie alle sue caratteristiche fisiche, è molto adatto per ridurre gli eventuali effetti collaterali della terapia.
Per i pazienti italiani i cicli di protonterapia sono erogati nell'ambito delle cure previste dal Sistema sanitario nazionale e sono inclusi nei Lea (livelli essenziali di assistenza). Le cure sono erogate in regime ambulatoriale o in di ricovero all’ospedale Santa Chiara di Trento e durano, mediamente, quattro-sei settimane: un periodo di tempo lungo, durante il quale i pazienti possono contare sulla presenza e sul sostegno di una rete di enti e associazioni di volontariato, che offrono supporto e assistenza durante il trattamento.