I 102 anni del dottor Gios Bernardi: «Non ho paura della morte, non credo che dopo ci sia un granché»»
«Ho sempre lavorato tanto, pensato tanto, fatto tanto, letto tanto e continuo a leggere, mangiato poco, mai fumato in vita mia, fatto molto sport, alcol pochissimo»
TRENTO. Dottore Gios Bernardi, auguri, sono diventati 102 l'1 gennaio. State facendo scuola, ha visto anche il suo collega Garattini, ha letto sul Corriere della Sera?
«Sto leggendo la sua intervista in questo momento. Lo conosco, è un mio collega».
Gios Bernardi, risponde con un piglio deciso, ma estremamente cortese al giornalista che lo importuna, come se compiere 102 anni fosse una cosa normale. È il grande vecchio della medicina trentina, come sempre molto lucido. Ha avuto una vita piena, non soltanto in termini di tempo e di anni, ma anche per le cose fatte, dall'attività medica all'invenzione del premio Pezcoller che oggi è un monumento per chi fa ricerca. E lui, Bernardi, padre di tre figli, nonno di due nipoti e bisnonno di un nuovo arrivato, si dimostra più che lucido e riflessivo.
È così, dottor Bernardi, lei si dimostra di una lucidità eccezionale…
«Lucidità, insomma... Una volta, quando ero giovane, si diceva "lucidato con il Brill". Dai, mi difendo».
Ma qual è il segreto di questa longevità?
«Non lo so, io ho sempre lavorato tanto, pensato tanto, fatto tanto, letto tanto e continuo a leggere, mangiato poco, non ho mai fumato in vita mia, fatto molto sport, alcol pochissimo, un bicchiere di vino al giorno, superalcolici ora no, una volta pochissimo, al massimo un dito di whisky. Ma soprattutto tanta tanta pazienza per sopportare questo mondo schifoso!»
Perché schifoso?
«È un mondo difficile, pieno di disgrazie, ci sono più di 50 guerre. Mi sto interessando molto della politica in Medioriente, che è così intricata, bisogna studiarla».
Stiamo andando alla deriva?
«È un brutto momento, in questi ultimi anni in poco tempo è cambiata un'era. Non è più il mondo di una volta, c'è un proliferare di guerre e di orientamenti politici che non condivido».
Una deriva anche sul piano della comunità civile?
«C'è una diffusione di ignoranza sapiente».
Cosa intende?
«Se volete chiamatela ignoranza aggressiva. Guardate che cosa succede, con questa massa di non votanti, incapaci di comprendere le cose».
Ma legge tanto, sembra di capire. Costa sta leggendo in questi giorni?
«Le ultime cose che ho letto sono due libri di Emanuele Trevi, scrittore romano, il cui padre è uno psicanalista. Il primo, "Due vite", non mi è piaciuto molto, invece "La casa del mago" parla del dialogo tra padre e figlio e alla fine il padre dice di essere contento di arrivare dal nulla e di concludere nel nulla».
Lei si muove molto?
«In questo periodo no, perché mi sono ferito a una mano e non riesco a guidare l'auto, ma so che andrà meglio tra un po' e riuscirò di nuovo a guidare».
Il suo collega Garattini dice che si tiene in forma facendo cinque chilometri al giorno. Lei cammina?
«No, non cammino più perché abito in una casa da cui per uscire devo fare una discesa ripida in collina che non mi sento di affrontare e non potendo guidare non esco».
Si sente felice?
«In qualche modo sì. Ho fatto di tutto, ho fatto il medico soprattutto, ho curato molto il rapporto di empatia tra medico e paziente, sono stato presidente dell'Ordine dei medici, sono stato assessore in Comune alla cultura e assessore alla scuola; ho fondato il premio Pezcoller e ho guidato la fondazione che cura il premio direttamente o indirettamente per trent'anni, adesso sono presidente emerito. Sono riuscito a fare tante cose».
Ma la morte le fa paura?
«Direi di no. Non so che cosa ci sia dopo. Non credo che ci sia granché, mi lascia abbastanza indifferente. Piuttosto non voglio vivere malamente».
Com'è la sua giornata tipo?
«Lettura e ancora lettura, i giornali, i libri. Poi un po' di ginnastica e poi mi faccio da mangiare. Male, perché non sono capace, ma mi arrangio».
Ha nostalgia del passato, di una città che è cambiata, non è più quella di 50 anni fa?
«Ma no, Trento è una città bellissima, non ho nessuna particolare nostalgia del passato e della Trento di una volta».
Che suggerimenti si sentirebbe di dare per avere una vita lunga come la sua?
«Raccomanderei di vivere una vita consapevole, di capire e sapere che cosa vive che ci sta intorno, suggerirei di vivere con la maggiore intensità possibile e di non dimenticare mai, da medico, il rapporto intenso e empatico con il paziente. Ma anche tra tutte le persone che si conoscono e si incontrano: di non essere indifferenti verso il prossimo». Che rapporto ha con le medicine, con i farmaci?
«Medicine ne ho sempre prese pochissime, antibiotici quasi mai. D'altro canto se serve quando i medici le prescrivono meglio prenderle, ma meno se ne prende meglio è, perché c'è sicuramente un abuso, particolarmente oggi, di farmaci».
Chiediamo a Bernardi se possiamo fargli una fotografia, ma il dottore si ritrae: «Non ho mai amato che mi fotografassero. Beninteso, amo la fotografia: mi considero un fotografo abbastanza importante. Ho recentemente fatto una mostra a Taormina sugli anni '50 e '60. Un servizio fotografico sull'immigrazione siciliana, soprattutto in Germania e Stati Uniti, sono un cultore della fotografia in bianco e nero. Ho fatto diverse mostre, ma non amo essere fotografato, anche se non ho nulla da nascondere, mica mi vergogno di me stesso, ma non ho mai amato che mi fotografassero».
Allora basta così, tanti auguri al medico centenario.