Atleti rifugiati alle Olimpiadi, Cio apre le porte di Rio 2016
Atleti altamente qualificati ai quali è stato riconosciuto lo status di rifugiati potranno gareggiare ai Giochi di Rio. Il presidente del Comitato Olimpico Internazionale Thomas Bach ha annunciato al Palazzo di Vetro la decisioni di aprire le prossime Olimpiadi estive ai profughi «in un messaggio di speranza e per rendere il mondo consapevole della gravità della crisi».
Proprio oggi l’Unhcr ha fatto sapere che sono più di 700 mila le persone in fuga da guerre, persecuzioni, povertà, carestie che hanno cercato di raggiungere l’Europa nel 2015. L’annuncio di Bach ha coinciso con l’approvazione della tradizionale Tregua Olimpica: un appello ai 193 membri dell’Onu a deporre le armi nei giorni delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi del 2016 in Brasile.
Accanto a questo appello, Bach ne ha rivolto un altro: ha chiesto ai paesi Onu di aiutare il Cio a individuare sportivi di talento in grado di competere nelle gare. Finora i rifugiati non erano ammessi in quanto non rappresentanti di nessun paese. Era stata fatta una eccezione a Londra 2012 quando il maratoneta sudsudanese Guor Marial aveva gareggiato come atleta indipendente sotto la bandiera del Cio chiudendo la gara al 47/o posto, ma il caso era molto diverso. Era stato lo stesso Marial, nato nel sud del Sudan agli inizi della guerra civile a rifiutarsi di gareggiare sotto le bandiere di Khartoum dal momento che il Sud Sudan, riconosciuto come stato solo l’anno prima, non aveva ancora un comitato olimpico.
Bach ha detto che nel 2016 gli atleti profughi abiteranno nel Villaggio Olimpico assieme agli altri 11.000 di 206 Comitati Olimpici nazionali. «Non avendo un team nazionale a cui appartenere, nessuna bandiera dietro al quale marciare, nessun inno nazionale che viene suonato alla vittoria, questi atleti saranno benvenuti ai Giochi dietro la bandiera olimpica e con l’inno olimpico», ha detto Bach annunciando che il Cio ha creato un fondo da due milioni di dollari «per portare speranza ai profughi attraverso lo sport», in omaggio allo spirito olimpico in cui «tutte le persone sono uguali, a prescindere da razza, sesso, status sociale, cultura, religione». Un programma Cio di assistenza per atleti di alto livello rifugiati è già attivo.
Il capo del Cio ha osservato che le Olimpiadi «sono l’apice di questa visione e del principio della non discriminazione» tra i popoli.