Nadal fuori al primo turno a Melbourne Verdasco fortunato o fine di un'epoca?
Rafa non se l'aspettava. Non pensava di perdere così, al primo turno dell'Australian Open. Non gli era successo in tutta la carriera. Ma la risposta supersonica di Fernando Verdasco sul matchpoint, beh, gli ha sbattuto la realtà in faccia. Gli ultimi mesi del 2015 avevano acceso l'illusione di una rinascita, l'ennesima. Invece, forse, è giunto il momento di rassegnarsi. Forse Rafael Nadal non tornerà quello di prima. E c'è il rischio che la sua carriera, da oggi in poi, diventi una lenta discesa. Dopo i cattivi risultati dell'estate 2015 è tornato a Palma de Maiorca.
Ha lavorato più che mai, ha trovato qualche buon risultato a fine stagione e si è presentato nel 2016 con ambizioni rinnovate. Nel mare di chiacchiere che affollano il periodo di offseason, il parere era unanime: Rafa sarebbe tornato competitivo.
A Doha era arrivato in finale, ma la disfatta nella finale con Djokovic ha seminato i primi dubbi. E adesso, dopo il KO australiano, torneranno i dubbi e i processi. Intendiamoci: Rafa vuole essere felice. Ha detto mille volte che è la sua priorità. E' un discorso generale, che va ben oltre il tennis.
E lui ha mille ragioni per esserlo, a partire da un palmares mostruoso e il titolo (indiscutibile) di miglior terraiolo di sempre. E' giovane, ricco, e ha già pensato a cosa fare del suo futuro (ha inaugurato un'accademia nella sua isola: un po' costosa, ma vedrete che farà registrare il sold-out).
Ma se ci limitiamo al tennis, beh, qualcosa è cambiato. Qualcuno gli suggerisce di cambiare coach, o almeno aggiungere un nome nuovo al suo staff tecnico. E i pareri esterni arrivano da tutte le parti. “Se io fossi il suo coach, come prima cosa gli ricorderei la sua grandezza. A volte sembra essersene dimenticato” ha detto Jim Courier, che avrebbe dovuto intervistarlo nel post-match, invece si è trovato la mascella volitiva di Fernando Verdasco. Un giocatore che tira a occhi chiusi. Quando la palla gli resta in campo, il più delle volte fa il punto. Contro Rafa lo ha fatto una novantina di volte. Eppure, alla vigilia del torneo, Nadal aveva fornito ottime sensazioni. In allenamento aveva battuto Andy Murray e altri, fedele a una nuova condotta, più aggressiva.
Ma le frustrazioni sono tornate durante il match contro Verdasco. Frustrazioni ancora più grandi se osserviamo l'andamento della partita: avanti due set a uno, avanti 2-0 (e palla break del 3-0) nel quinto. Non è bastato. E' la seconda volta che Nadal perde al primo turno di uno Slam. Gli era successo a Wimbledon 2013, ma allora aveva la bua al ginocchio. Stavolta stava benissimo, aveva svolto un'ottima preparazione e giocato un buon numero di partite. “E' una delle più grandi delusioni che abbia mai provato – ha detto lo zio coach Toni Nadal – ogni sconfitta fa male, ma perdere al primo turno di un torneo così importante, dopo 3-4 mesi di buon tennis, è davvero deludente”.
Gli ultimi tre Slam di Nadal sono stati la peggior serie della sua carriera. Secondo turno a Wimbledon (KO con Dustin Brown), terzo allo Us Open (ma lì fu fantastico Fognini), adesso eliminazione immediata a Melbourne. E tornano in mente le parole di Yevgeny Kafelnikov. Lo ricordate? Immenso talento russo, è stato uno dei tanti a infilarsi nel periodo di interregno tra Sampras e Federer.
Ha vinto due Slam e si è fatto qualche settimana in vetta. Ma avrebbe potuto vincere molto di più, poiché era dotato di un braccio-poesia. Dopo il ritiro si è dato al poker e ha sostanzialmente raddoppiato la sua stazza. Anche per questo, forse, non gli hanno dato credito quando ha preso la parola dopo il Roland Garros 2014, quattordicesimo Slam di Rafa. “Fidatevi, sarà il suo ultimo successo Slam”. Pensavano che avesse bevuto un bicchierino di troppo di vodka. Diciotto mesi dopo, tanti dovrebbero chiedergli scusa. Ad oggi, lo scenario più probabile è proprio quello dipinto da Kafelnikov.
I motivi sono tanti, ma due spiccano sugli altri: uno tecnico e uno legato al logorio (più che all'età). Quello tecnico ha provato a spiegarlo “Big Jim” Courier al New York Time. “Tanti giocatori hanno capito che bisogna essere aggressivi e farlo giocare fuori posizione. La tattica è stata usata troppo poco contro i Big Four. Sono troppo forti se li lasci giocare come vogliono. Rischiare è l'unico modo per batterli, perché è quasi impossibile che si battano da soli”.
È vero in parte, perché il problema parte proprio da Rafa. E lui lo sa, come ha ammesso in conferenza stampa. “Non riesco a fare danni con il dritto. Io colpivo con il dritto e lui rispondeva con un vincente. Non può succedere quando colpisco con il mio colpo migliore. Se proprio vuole farmi il punto, il mio avversario deve prendere grandi rischi. Stavolta non è andata così”. Togliendo un paio di tare (Verdasco è mancino, quindi può permettersi di giocare a specchio con Rafa, inoltre il suo dritto è una fiondata), il peso netto resta importante. La verità è che Verdasco poteva picchiare a volontà da posizioni tutt'altro che impossibili.
Ha sbagliato tanto (91 errori), ma stavolta i 90 vincenti sono bastati (nella mitica semifinale di sette anni fa ne aveva tirato qualcuno in più, ma aveva perso). Dando un'occhiata alle statistiche, è clamoroso che il madrileno abbia vinto 25 dei 27 punti quando è sceso a rete. Un tempo, Nadal era il re dei passanti. Li tirava anche dalle posizioni più impossibili. Adesso non ci arriva più, e se ci arriva sbaglia di metri. Il declino è evidente nei risultati, ma anche nel gioco. E allora ci si domanda se potrà invertire la rotta.
Possibile che i segnali di fine 2015 fossero solo un fuoco di paglia? Difficile a dirsi. Avremo qualche risposta da qui a giugno, quando giocherà quasi esclusivamente sulla terra battuta. Salvo Indian Wells e Miami, lo vedremo in campo solo sulla superficie preferita. Il Roland Garros sarà l'unico Slam dove possiamo ancora inserirlo tra i favoriti. Ma in questo momento Djokovic gli è superiore, anche sulla terra battuta. Ricordate la lezione che gli ha rifilato nei quarti dell'anno corso?