Mvt - Il campione trentino di tutti i tempi Nuova sfida: Dalfovo vs Trettel Votate il vostro atleta del cuore

di Guido Pasqualini

Nuova sfida tra campioni del nostro sondaggio “Mvt - Il campione trentino di tutti i tempi”: oggi è tra il pallavolista Massimo Dalfovo e la campionessa di snowboard Lidia Trettel.

Per votare, scegliete un’opzione e poi cliccate “Invia”

 

MASSIMO DALFOVO.  Lorenzo Bernardi è Mister Secolo, ma il primo trentino a giocare in serie A di pallavolo risponde al nome di Massimo Dalfovo. 

Storia originale quella del presidente della Fipav trentina, approdato al volley quasi per caso patito come era - e com’è - di calcio. Consacratosi nella città culla della pallavolo nazionale, Modena, è poi rientrato alla base per portare il volley trentino dalla serie C alla A1, dapprima in campo e poi da dirigente.
Ma partiamo dall’inizio. «Giocavo a calcio nella Rotaliana e saltuariamente a basket. Risultai positivo a un esame della bronchiolite e così mio papà decise che avrei dovuto abbandonare il calcio. Fu così che, a 15 anni, provai con la pallavolo, nella Juventus Mezzolombardo».
Mezzi fisici e talento vennero notati ben presto: il giovane Dalfovo venne prelevato dal Cus Trento e affidato alle cure di un grande allenatore, Giorgio Battisti. Mancino di grande potenza, ad adocchiarlo a quel punto fu Oddo Federzoni, tecnico azzurro che lo raccomandò al Petrarca Padova: «Era il 1976 e, prima ancora di giocare in serie A, a 19 anni debuttai in nazionale a Turku, in Finlandia. Credo sia un record».
Ma all’epoca qual era il suo idolo? «A dir la verità seguivo più il calcio della pallavolo. E quindi i miei campioni del cuore erano Boninsegna e Gigi Riva. Certo poi, un paio di anni dopo, venni ingaggiato dalla Panini di Modena e lì ebbi modo di conoscere Pupo Dall’Olio, uno dei più grandi palleggiatori della storia. Se sono arrivato in nazionale, il merito è suo».
A Modena sei anni da sogno. «Andavo a mangiare a casa di Giuseppe Panini, l’inventore delle omonime figurine, frequentavo i suoi figli.Girava gente del calibro di Ferrari, Pavarotti, Fini, quello dei tortellini. E si faceva serata con i Nomadi e Bonvicini, il “Bonvi” del fumetto Sturmtruppen».
Dopo Modena altri tre anni a Padova, uno a Pordenone e due a Schio. Nel 1990 il ritorno in Trentino. «Papà mi richiamò all’ordine, c’era l’agenzia di assicurazioni da portare avanti».
Il lupo perde il pelo ma non il vizio e così Dalfovo alterna l’ufficio alla palestra. Veste la casacca dell’Eurock Mezzolombardo e, in 7 anni, trascina la squadra dalla serie C1 all’A2. Nel 1997, a 40 anni d’età, lo stop allo sport giocato. Dalfovo si impegna come dirigente e nel 2000 convince Diego Mosna ad acquistare i diritti di A1 da Ravenna. Inizia lì l’avventura dell’Itas Trentino di cui il “martello” rotaliano per tre anni fa il direttore sportivo.
Sempre e solo volley? «Mi piace camminare in montagna, non ho mai sciato, un po’ perché non potevo e un po’ per pigrizia».
La soddisfazione più grande? «Forse essere scelto come miglior schiacciatore di serie A nel 1981 assieme al mio amico Franco Bertoli».
E la delusione più cocente? «Non aver mai partecipato a un’Olimpiade. Nel 1984 meritavo di esserci. Nelle qualificazioni a Barcellona subentrai al capitano Marco Negri e per tre set feci la testa rotonda ai cinesi. Pensavo di essermi meritato la convocazione ma non fu così. Seppi poi che il tecnico dell’epoca, Silvano Prandi, se ne dispiacque».
Il sogno irrealizzato? «Da presidente portare il Calcio Trento in C2. Con Maraner in panchina sfiorammo l’impresa, fermati sull’1-1 dal Pergocrema al Briamasco davanti a 3500 spettatori. Speriamo ci riesca Giacca».


 

LIDIA TRETTEL.  «Posso dire che in tre Olimpiadi ho vinto tre medaglie diverse: quella di legno a Nakano 1998 che mia sorella mi ha fatto trovare pronta al rientro, il bronzo di Salt Lake City e la medaglia del Fair Play a Torino».

Lidia Trettel è stata la prima medaglia olimpica italiana al femminile nello snowboard, nel 2002 sulle nevi dello Utah, un bronzo che la ripagò del quarto posto di quattro anni prima in Giappone. Poi nel 2006 a Torino, pur essendo convocata, rimase invischiata in un gioco di ricorsi al Tas e di minacce di farlo da parte di colleghe e si ritrovò esclusa dal quartetto azzurro. Una decisione che digerì senza polemica alcuna, ispirando così la Gazzetta dello Sport a intitolare seduta stante «La medaglia d’oro del Fair Play», consegnata a Torino alla snowboarder fiemmese.
Una vicenda passata agli annali, ma che aiuta sempre a tratteggiare il carattere e la sensibilità di una Lidia Trettel che oggi si divide tra il ruolo di istruttrice e allenatrice di snowboard a Passo Rolle («ci metto passione, cerco di far capire ai più giovani il senso del divertimento in sicurezza e l’amore per l’ambiente») e quello di gestrice di un market in un campeggio dell’hinterland romano insieme al compagno, «anche se sono tre mesi che non lo vedo per colpa dell’emergenza, spero di poterlo raggiungere presto».
Genuina, rispettosa, sognatrice «da sempre, fin da bambina». Tre parole che si adattano perfettamente al profilo della 45enne di Ziano di Fiemme.
«Da piccola facevo diversi sport, sci alpino e corsa in montagna soprattuto. Poi nel 1984 ho visto il mio compaesano Giorgio Vanzetta tornare da Lillehammer con la medaglia olimpica e sono rimasta incantata. “La voglio anche io”, mi sono detta, pur non sapendo ancora in quale sport avrei potuta prendere. Così è diventato un sogno che, complice la passione arrivata poi per lo snowboard, sono riuscita ad avverare a Salt Lake City. Il quarto posto di Nagano, per soli 29 centesimi, era stato una delusione ma allo stesso tempo, trattandosi della prima Olimpiade, il solo esserci rappresentava un dono meraviglioso. Ma subito dopo tornai ad allenarmi con sempre maggior determinazione, con l’obiettivo di coronare il mio sogno nel 2002. Ed è stata una giornata perfetta, proprio come me l’ero sognata: cielo azzurro, neve perfetta, sin dalla mattina avevo capito che sarebbe stata la mia gara».
E poi il fattaccio di Torino. Isabella Dal Balcon, non convocata, fece ricorso al Tas contro i criteri di selezione e il tribunale accettò il suo reclamo; l’esclusa a quel punto sarebbe dovuta essere Corinna Boccaccini che a sua volta minacciò di rivolgersi al Tas, supportata dai Carabinieri. E allora le carte si mischiarono nuovamente, a discapito di Lidia che però espresse una sorta di “obbedisco garibaldino” e si fece da parte.
«Ero pronta per fare bene, nonostante un infortunio nella prima parte della stagione; purtroppo nello sport sono cose che succedono; in fondo tutti gli atleti hanno vissuto qualche tipo di ingiustizia. Ma sono anche convinta che la vicenda mi abbia fatto crescere notevolmente, in tutti i sensi. E mi ha dato l’input per smettere: non è mai semplice abbandonare un ambiente che ami, ma a Torino ho capito che era il momento giusto!».

 

 

Tabellone parte sinistra

Tabellone parte destra

comments powered by Disqus