Tokyo 2020 / La storia

Laurel, la prima transgender in gara alle Olimpiadi (tra le proteste)

La neozelandese Hubbard in pedana nel sollevamento pesi. Le avversarie si interrogano se è giusto o no, ma viene eliminata subito. E lei: «Olimpiadi vuol dire inclusione»

TOKYO. Laurel Hubbard non è riuscita a sollevare nessuno dei bilancieri dei suoi tre tentativi, ma si è tolta un peso dal cuore. Tra i numerosi applausi di tecnici e volontari presenti a bordo pedana del sollevamento e le proteste di qualche rivale, che parla ancora di «brutto scherzo», la 43enne neozelandese è diventata la prima transgender dichiarata a prendere parte alle Olimpiadi.

«Non sono inconsapevole di quanto faccia discutere la mia presenza qui, ma voglio ringraziare il Cio - le sue parole a fine gara, chiusa da una rapida eliminazione - Il suo sì spiega al mondo cosa è l'olimpismo: inclusione. Perché lo sport è per tutti».

Ma lo sport mondiale è spaccato. La partecipazione della neozelandese è un discrimine che nè il Cio nè la federazione mondiale, e tantomeno gli atleti, riescono a definire con concordia, nei Giochi in cui hanno avuto diritto di cittadinanza aperti simboli Lgbt come la fascia arcobaleno della capitana tedesca dell'hockey.

Le braccia incrociate di Raven Saunders, lanciatrice del peso americana, sul podio dell'argento, hanno invece spinto il Cio ad aprire un'inchiesta: secondo i media Usa è «per tutte le persone oppresse che non hanno diritto di parola», secondo altri un segno del movimento Lgbt.

Nel caso di Laurel, non è però questione di diritti o di minoranze, ma di testosterone. E' lecito che un uomo diventato donna competa dopo una cura ormonale che ne può aumentare la forza? Molte rivali hanno detto no, nei mesi che hanno preceduto la gara tra le sollevatrici di più di 87 chili, ma anche a margine delle gare di questi giorni al Tokyo International Forum.

«Oggi prevale lo spirito olimpico - ha detto la belga Anna Vanbellinghen - ma resto della mia idea», ovvero che la partecipazione della Hubbard, che già da uomo aveva fatto gare di sollevamento, rappresenti un “brutto scherzo”. «Dobbiamo riordinare le regole: nulla contro la partecipazione dei trans, ma non va dato loro un vantaggio così forte».

Anche se a dire il vero Hubbard non è riuscita a sollevare nè i 120 chili nè 125, in una competizione vinta a 180. «Dobbiamo pensare che dietro a tante questioni tecniche e sportive, c'è una persona», hanno detto i dirigenti neozelandesi, che sin dall'arrivo della loro atleta a Tokyo l'hanno difesa dagli assalti dei media internazionali.

Il Cio pochi giorni fa ha dato vita a una tavola rotonda con esperti medici e la federazione internazionale, per capire cosa fare dopo.

«Le regole si rispettano e non si cambiano in corsa. Ma dopo sì», la parola d'ordine del presidente Cio, Bach. E infatti quel gruppo di lavoro ha messo a punto un principio. Dopo Tokyo e Pechino 2022, bisognerà mettersi a tavolino e studiare regole sport per sport.

Probabile che la questione riguardi anche l'atletica e l'iperandroginismo, che non è solo Caster Semenya. E' di oggi la protesta di die atlete namibiane ammesse per quel livello naturale di ormoni da uomo solo alla gara dei 200, non dei 400. «E' difficile capire». Per i diritti, e per quell'ormone che fa la forza e magari serve più sulla distanza doppia che sui 200. «Questo giorno è uno spartiacque», dice la federazione mondiale di sollevamento. Perché ci sarà di sicuro un prima e un dopo Hubbard.

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