Frank Jachemet, da 18 anni custode dei muscoli degli atleti dell’Aquila
Il massofisioterapista trentino pronto alla nuova stagione: «Trainotti mi disse: ti offro un lavoro ma per te sarà una passionaccia». E racconta diversi aneddoti, come ad esempio le richieste particolari dei vari giocatori
TRENTO. Quella iniziata è la sua diciottesima stagione di lavoro all'Aquila che nel corso di questi anni è stata Sosi, Bitumcalor e Dolomiti Energia. Lui è Franco "Frank" Jachemet, massaggiatore che ha iniziato ad occuparsi dei muscoli dei giocatori in B2 e che ha continuato fino ad oggi vivendo in prima persona la costante crescita del club trentino.
Nato a Zurigo nel 1962 da una famiglia di emigranti originari della val di Cembra, ha studiato massofisioterapia a Pisa. All'inizio ha fatto anche dell'altro occupandosi di marketing al Sait, ma da sempre in parallelo alla cura dei muscoli di atleti. Sì, perché il lavoro di massaggiatore è figlio dell'amore per lo sport. «In gioventù praticavo l'atletica, mezzofondo, e sci nordico - spiega Frank - ma sono stato anche istruttore di mountain bike e di nordic walking e preparatore di softball all'Ata Battisti. La montagna è la mia passione, quando ero più giovane arrampicavo, ma ora mi accontento di camminare».
Certo, se l'impresa della quale è stato protagonista lo scorso 14 agosto significa accontentarsi...
«In 11 ore ho percorso tutte le cime della valle dei Mocheni partendo alle 5 e mezzo del mattino dalla Panarotta per arrivare a Miola sull'altopiano di Piné: poco più di 42 chilometri e oltre 3.000 metri di dislivello».
Un'impresa che ha una spiegazione.
«Nel 2021 avevo dovuto affrontare un intervento alle cervicali che mi avevano bloccato per 40 giorni. Un periodo durissimo, senza poter lavorare con i ragazzi. Il momento più brutto di questi anni all'Aquila. Tre mesi dopo, con troppo ottimismo, avevo preso il via alla Translagorai, ma dopo 60 chilometri mi ero piantato vomitando l'anima. Non ero preparato per quello sforzo. Un mese fa ce l'ho fatta godendomi un'alba fantastica e panorami affascinanti dopo essermi preparato adeguatamente dall'inizio di giugno».
L'aver praticato sport la ha aiutata nel lavoro di massaggiatore?
«L'esser stato un agonista mi ha aiutato a capire meglio la mentalità di un atleta e i modi diversi che si possono affrontare le varie problematiche. Ovviamente ora tutto è più semplice nel mio lavoro grazie alla diagnostica».
All'inizio all'Aquila era diverso.
«Ero da solo, ma le esigenze della squadra erano diverse. Salendo di livello l'impegno è diventato più gravoso. Ora siamo in due, io e Ludovico De Luca, a lavorare quotidianamente con il coordinamento di Giacomo Beccucci».
In sostanza di cosa si occupa un massofisioterapista?
«Per prima cosa facciamo prevenzione per evitare infortuni».
Con i giocatori avete un rapporto quotidiano.
«Un rapporto che va dal capire come sta il giocatore al tarare il lavoro che può svolgere e l'intensità che può affrontare. Un lavoro il nostro per il quale si tirano le somme ogni giorno ma che prevede report settimanali. Abbiamo la fortuna di lavorare in un club che al primo posto mette il benessere e la salute del giocatore e questo chiaramente ci aiuta nel nostro lavoro che è cambiato a livello qualitativo con uno staff ampio che comprende anche i medici».
Il confronto con lo staff tecnico è quindi costante.
«Già la sera prima dell'allenamento o della gara c'è un confronto con lo staff sullo stato di salute dei ragazzi. Per farlo adottiamo diversi sistemi di valutazione».
L'approccio degli atleti è facile immaginare sia diverso l'uno agli altri.
«C'è chi ai dolori e ai problemi ci passa sopra e chi si preoccupa subito. Importante da parte nostra è trasmettere tranquillità. Nel nostro lavoro c'è una grossa componente psicologica. Importante è instaurare un rapporto di reciproca fiducia, in modo che l'atleta si affidi alle tue mani senza ansia. Ovvio che qualche giocatore arriva da esperienze negative ed è più lungo il percorso della fiducia».
Quali sono i problemi maggiori che dovete affrontare?
«Il basket è sport di contatto e quindi gli incidenti sono all'ordine del giorno. La distorsione alla caviglia è il più comune, mentre alla spalla spesso c'è dell'affaticamento. Poi ovviamente i traumi da botte e cadute. L'importante è gestire al meglio nell'arco della stagione i tempi di recupero considerando anche il punto di vista del giocatore».
I giocatori hanno delle richieste particolari?
«Toto Forray prima della partita chiede sempre uno scarico delle gambe. Sutton (l'ala Usa delle finali scudetto) aveva bisogno invece di 40 minuti di relax prima di iniziare il riscaldamento pregara».
Immaginiamo che qualche giocatore le sia rimasto nel cuore.
«Tanti. Ho mantenuto rapporti ottimi con praticamente tutti i giocatori passati sotto le mie mani. A parte Toto, mi vengono in mente Beto, Sutton, persona a modo, tutto l'opposto del guerriero che scendeva in campo, Dada Pascolo che ho letteralmente visto crescere, Flaccadori. Con Dada e Mezzanotte siamo in contatto su whatsapp».
Il vostro è un lavoro che porta a girare il mondo.
«Dove vediamo aeroporti, hotel e palasport. Appena arriviamo in un posto allestiamo la nostra sala dove operiamo portando il materiale necessario da Trento».
Quali sono i ricordi più belli?
«Facile dire le finali scudetto. Nella prima finale si era lavorato H24 per due settimane. Ma il ricordo più particolare resta la promozione dalla A2. Già a fine aprile ricordo di aver avuto la sensazione che la squadra ce l'avrebbe fatta. Avevo la pelle d'oca, sentivo l'energia che c'era. Coach Buscaglia mi disse: «Sai cosa facciamo adesso? Ora li lascio andare!». I ragazzi non avevano più bisogno d'indicazioni. Il giorno dopo la promozione ero distrutto, venivo tutti i giorni al palasport anche se non dovevo venirci».
A questo punto si capisce che fare il massofisioterapista all'Aquila per lei è più di un semplice lavoro.
«Quando venni contattato per iniziare a lavorare all'Aquila, Salvatore Trainotti mi disse: "È un lavoro che ti offro, ma per te sarà una passionaccia". Sante parole.