L'esperto: androidi e umani vivranno in simbiosi
Realizzare androidi simili all’uomo, a partire dai tratti somatici, per affiancarli e sostituirli in attività complesse e pericolose, fino ad «arrivare ad una società simbiotica uomo-macchina, come sta già avvenendo in Giappone». È questa la visione futura dell’ideatore del robot umanoide Geminoid, Hiroshi Ishiguro, dell’Università di Osaka.
Il visionario studioso parla di futuro della robotica a Roma, all’Università Sapienza, partecipando alla tavola rotonda «Noi, Robot», organizzata dall’ateneo romano insieme alla Pontificia Accademia per la Vita per la sua 25/a Assemblea generale, che ha come tema quest’anno «Roboetica. Persone, macchine e salute». Gli studenti dialogano con Ishiguro sullo stato dell’arte della ricerca robotica e sul rapporto tra uomo e macchina.
L’esperto descrive ai ragazzi il suo gemello androide Geminoid (nella foto) come «una nuova specie, di cui non bisogna avere paura». Per Ishiguro, «l’uomo è infatti animale più tecnologia», e questa può essere «uno dei motori dell’evoluzione umana», ha chiarito.
Secondo lo studioso, gli androidi per essere accettati devono assomigliare il più possibile all’uomo. Per questo, Ishiguro e il suo gruppo hanno impiegato materiali come il silicone e capelli veri nei loro automi.
Il nome stesso Geminoid deriva dal latino “geminus”, che significa gemello: il sosia robotico di Ishiguro è, infatti, dotato di muscoli facciali comandati a distanza da computer, grazie ai quali riesce a riprodurre le espressioni del viso dello scienziato, rendendo difficile distinguerli.
Per Ishiguro, «gli androidi sono utili per studiare l’interazione uomo-robot. Non sono, infatti, solo automi in grado di svolgere il nostro lavoro, ma nostri autentici alter ego, capaci di entrare in contatto con noi e aiutarci a capire meglio la nostra stessa natura», ha precisato.
Alle domande degli studenti sul futuro di queste tecnologie e su come orientarne lo sviluppo, Ishiguro risponde ribadendo che «non c’è motivo di vedere le macchine come una minaccia». Anche perchè, conclude, «l’intelligenza artificiale è una scienza giovane, e ci vorranno ancora decenni prima che la ricerca in questo campo possa portare a macchine dotate delle nostre stesse capacità, in grado ad esempio di riprodurre i nostri stati d’animo».