Ledro, dal Tar via libera alla centrale a biomassa
Il comitato di cittadini e ambientalisti si era rivolto al Tribunale amministrativo, ora farà ricorso al Consiglio di Stato
Via libera alla centrale a biomassa a Tiarno di Sopra: il Tar ha respinto la richiesta degli ambientalisti di bloccare il progetto ritenendo insufficienti i motivi di contrasto con il progetto della Ledro Energia.
La lotta di «As.pro», però, non si ferma. Il gruppo nato un anno fa per cercare di fermare la nascita di un impianto da 5 MW annuncia infatti il ricorso al consiglio di Stato e conferma la marcia di domenica prossima anche se incassa male il colpo.
Perché i giudici amministrativi hanno dato ragione agli enti locali - Comune di Ledro e Provincia - e alla società intenzionata a produrre corrente in valle, la Ledro Energia. Nessuna sospensione, quindi, della concessione edilizia in deroga rilasciata a dicembre dal Comune per realizzare una centrale di cogenerazione, teleriscaldamento e pellet sopra l’ex segheria Bracchi. L’ok all’impianto, tra l’altro, era arrivato anche dalla Comunità Alto Garda che aveva ottenuto parere favorevole a 360° da piazza Dante: ambientale, sanitario e urbanistico.
Ogni concessione è stata dunque impugnata ma, ordinanza del Tar in mano, per niente. Per il tribunale amministrativo, d’altro canto, «dal punto di vista edilizio l’intervento si sostanzia in un ampliamento di un edificio produttivo esistente (segheria) che si trova al margine dell’abitato e in una zona produttiva e parzialmente agricola; dal punto di vista ambientale, si prevede la realizzazione di un impianto di produzione di energia con potenza complessiva inferiore a 5 MW».
Proprio quest’ultimo aspetto è uno dei motivi forti o dolenti, a seconda dei punti di vista, dell’ordinanza. «Quanto alle censure avverso i provvedimenti provinciali, ovvero, in primis, la disciplina provinciale in base alla quale il progetto non è stato sottoposto né a Via né a preliminare screening (nonostante la vicinanza con il sito protetto “Monti Tremalzo e Tombea”), - scrivono i giudici - paiono fondate le argomentazioni difensive delle amministrazioni laddove hanno dimostrato come il progetto sia stato assoggettato alla disciplina legislativa e regolamentare vigente ratione temporis, la quale era ed è comunque più restrittiva di quella sopravvenuta dello Stato di attuazione della direttiva UE; difatti la nuova disciplina statale per la “verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale” dispone che “la sussistenza di uno o più criteri comporta sempre la riduzione del 50 per cento delle soglie fissate nel 2006”, quindi da 50 a 25 MW; ne discende che la soglia nazionale di maggior cautela è cinque volte superiore (25 MW) a quella locale (5MW)».
Insomma, il ricorso «non pare assistito da sufficiente fumus boni iuris, tenuto conto che il testo unificato delle norme tecniche urbanistiche locali non ha inciso sulle destinazioni di zona oggetto dei provvedimenti comunale e provinciale di deroga».
Quanto alle censure riguardanti il tracciato della pista ciclopedonale, «la deroga ha riguardato un tratto collocato sopra un edificio esistente per cui si sostanzia in una modifica a un tracciato irrealizzabile».