Belluno, altri servizi a rischio Gli autonomisti si mobilitano
È stato un week-end di mobilitazione per il movimento Belluno autonoma Regione Dolomiti: obiettivo, avviare un salto di qualità per frenare il continuo processo di impoverimento istituzionale che avanza rapidamente nella vicina provincia dolomitica, in seguito a decisioni prese a Roma o a Venezia.
È stata la giornata delle lenzuola, con messaggi chiari circa il destino di servizi e istituzioni e la necessità di reagire: «Chiuso», «Chiuso per abbandono», «Vuoto per rapina», «Io resisto».
Malgrado le rassicurazioni, le promesse o finanche le norme già approvate ma non applicate, Belluno sta infatti subendo la sottrazione continua di presidi territoriali, servizi, istituzioni, infrastrutture, persino un patrimonio pubblico come l’acqua nei laghi e nei fiumi.
Sembra una precisa strategia tesa a prendere il territorio per sfibramento, a dimostrare che per quanto la gente si spenda nel nome di una collettività in pericolo, i processi non si fermano: forse si punta al prevalere infine di un sentimento di impotenza e rassegnazione; ma sono ancora in molti a dire di no e a proporre altro.
Da anni i bellunesi chiedono di ottenere strumenti che consentano una forma di autogoverno per rispondere alle esigenze complesse e particolari di un’area alpina.
In realtà, raccolgono invece uno schiaffo dopo l’altro.
A cominciare dalla Provincia ordinaria depotenziata con la riforma Delrio e non più eletta dai cittadini.
Ma anche dalle cancellazioni annunciate di Camera di commercio e prefettura (fusioni con la lontanissima Treviso, a quasi 150 km dal nord del Bellunese, che confina con l’Austria).
La lista delle sottrazioni imposte da fuori è lunga. Addio al provveditorato agli studi, contestati processi di «colonizzazione» agricola made in prosecco favorita dalla giunta regionale di Luca Zaia, corsi d’acqua prosciugati dalle irrigazioni idrovore della pianura veneta e da una miriade di centrali e centraline idroelettriche (un vero business speculativo proprio nella terra del Vajont) con il benestare veneziano, servizi ridotti (sanità «razionalizzata» d’imperio, uffici postali tagliati, viabilità precaria, ferrovie conciate male eccetera) promozione turistica indebolita e frammentaria, archivio di Stato a rischio e così via.
La misura è colma da tempo, spiega il Bard, invitando i cittadini a un salto di qualità per difendere il territorio e per rilanciare la lotta politica con l’obiettivo di ottenere al più presto il mecessario riconoscimento di strumenti seri di autogoverno che abbiano un preciso ancoraggio legislativo, a cominciare dalle norme dello Stato e possibilmente dalla Costituzione, con l’annunciata revisione del Titolo V sulle autonomie locali (in Regione le leggi sull'autonomia bellunese ci sono da tempo, ma vengono disattese).
Insomma, la minoranza alpina bellunese non ci sta a subire un processo di omologazione alla pianura veneta e di diventare una sorta di «dependance» buona per attingere a questa o a quella risorsa utile altrove.
E chi nella classe dirigente locale rimane «prigioniero» degli annosi e paralizzanti «giochi» dei partiti regionali o nazionali, oggi rischia ormai di vedersi superato dalla consapevolezza popolare di fronte a un’emergenza crescente e inquietante.
«Laghi, fiumi, istituzioni, servizi: rischiamo di perdere tutto. Per questo oggi abbiamo mobilitato tutto il territorio in un grande flash mob. “Dismission(s)e fora”: questo il grido che lanciamo a tutti, politica e cittadini, perchè Belluno Dolomiti non può morire.
Svegliamoci! Contro chi ci ruba l’acqua senza lasciare nulla al territorio, contro chi pensa che le emergenze possano essere gestite dalla pianura, contro chi pensa che la vita in montagna sia uguale a quella della pianura.
Dall’Agordino al Comelico, fino al Feltrino e all’Alpago: tutto è a rischio. L’ultimo treno per Belluno sta per partire, e se non ci svegliamo rischiamo di perdere la corsa.
Noi la scossa l’abbiamo data e continueremo a darla; ora tocca a te!», scrive il Bard nel suo appello.
Il prossimo grande momento di mobilitazione è in programma sabato 24 ottobre, quando tornerà la notte dei fuochi per l’autonomia del Bellunese: «Ognuno - scrive il Bard - sceglierà un posto, un colle, una cima, una piazza, un prato. Dalle 20 alle 20.30 decine di fuochi saranno accesi nel nostro territorio, dall’Alpago allo Zoldano, dal Comelico all’Agordino, da Feltre a Cortina. Decine di fuochi per dire con forza che non ci fermeremo».
Frattanto, il 18 novembre è attesa la sentenza del Tar sul ricorso di Alessandra Buzzo, sindaco di Santo Stefano di Cadore, che alle regionali del maggio scorso inizialmente era risultata eletta in una lista civica che ospitava alcuni autonomisti bellunesi a sostegno del centrosinistra, nell’ambito di un accordo nazionale con il Pd per il varo a Roma di una legge che almeno ripristini la Provincia ordinaria (il relativo iter parlamentare peraltro sembra bloccato).
Successivamente, una diversa interpretazione della farraginosa legge elettorale veneta sottrasse il seggio al Bard per assegnarlo al centrodestra in un’assemblea regionale dove, in ogni caso, la vasta provincia dolomitica (200 mila abitanti dei cinque milioni veneti) è rappresentata da due soli consiglieri su cinquanta.
Fra poco più di un mese, dunque, gli autonomisti bellunesi - che hanno da tempo stretti contatti con Trento e Bolzano - sapranno, dunque, se la loro battaglia per dare al territorio strumenti di rilancio avrà una sponda anche in Regione.
Cioè nella tana del lupo...