In Fiemme si cercano dei "prati donatori"

di Pietro Gottardi

Tecnicamente si chiamano “prati magri”, ma sono l’esatto contrario di ciò che all’orecchio di un profano possono evocare le parole che in botanica li contraddistinguono.

Avete presenti i prati di montagna? Quelli dove il verde dell’erba in primavera e in estate fa da fondale alle punteggiature colorate di decine e decine di specie diverse di fiori? Ecco, quelli sono «prati magri». Nelle nostre valli non è difficile imbattersi in questi habitat di elevato valore naturalistico, dove trovano le condizioni ideali per vivere anche numerose specie di insetti.

Rispetto al passato, tuttavia, i prati magri anche in Trentino si stanno riducendo anno dopo anno.

Per cercare di limitare questo processo, la Rete delle Riserve Fiemme-Destra Avisio, in collaborazione con la Fondazione Mach e l’Università di Padova, ha sposato un progetto sperimentale che punta alla ricostruzione, al restauro dei prati magri, elaborato e curato in concreto da Francesco Gubert, dottore agronomo, e Davide Andreatta, dottore forestale e ricercatore della facoltà di agraria dell’Università di Padova.

«Va sottolineato che si tratta di un progetto sperimentale, peraltro già finanziato su un apposito bando sullo sviluppo rurale della Provincia autonoma di Trento - spiega Gubert -. Nella sua prima fase il progetto si occuperà del restauro di circa 3 ettari di prati magri a partire da superfici boscate distrutte dalla tempesta Vaia. L’obiettivo è quello di testare diversi metodi di restauro di questi prati magri ricchi di specie vegetali per poi cercare di applicare su scala più ampia le esperienze raccolte e contribuire all’aumento della biodiversità».
Ora, anche a chi non è dotato del proverbiale ?pollice verde?, è noto che per far crescere l’erba occorre seminarla. Quella delle semine con sementi o miscele di sementi commerciali è proprio una delle cause che stanno determinando la riduzione dei prati magri. Le altre, semplificando molto, sono in parte legate alle scelte dell’uomo in campo urbanistico e antropico, o da accadimenti naturali anche in contrasto fra loro, come l’avanzamento del bosco o fenomeni distruttivi, come ad esempio è stata la tempesta «Vaia».
Ma se le sementi generiche non riproducono prati magri, come è possibile ripristinarli?

L’idea di base su cui si fonda il progetto di Gubert e Andreatta, è quella di una sorta di trapianto: individuare prati di pregio, sfalciarli e utilizzare l’erba verde come materiale di propagazione, distribuendolo sul suolo da rivegetare.

«Questa è la fase operativa del progetto - continua Gubert -. Quella che per realizzarsi richiede la collaborazione della comunità per poter raccogliere fieni, semi, fiorumi e tutto quello che serve per creare il contesto del prato magro».

Per avere tutto questo, servono dei prati. E proprietari di prati disposti a contribuire a questo progetto.
«L’idea è quella di creare una sorta di “catasto dei prati donatori” - propone Andreatta -. La parte complicata del progetto è proprio questa: trovare proprietari o gestori di prati magri disposti a vendere il loro primo sfalcio, che poi noi utilizzeremmo come materiale di propagazione».

Il primo passo per avviare il circolo virtuoso, quindi, lo deve fare chi i prati ricchi di specie li possiede o li cura: «Basta che ci contattino: telefono 3488320372; mail: davide.andreatta@unipd.it - conclude Andreatta -. Con un sopralluogo compiliamo una scheda descrittiva del tipo di prato (composizione floristica, gestione ecc.) e quando ci sarà necessità di ricreare un prato ricco di specie nella stessa zona si valuteranno i prati disponibili e il proprietario del prato ?donatore? verrà contattato per vendere all’acquirente l’erba verde del suo prato».

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