Assistenza / L’emergenza

Rsa di Predazzo e San Giovanni di Fassa, ricerca disperata di infermieri: il bando

Le carenze di organico sono un problema che attanaglia molte strutture assistenziali. Sul piatto c'è probabilmente anche il diverso trattamento economico tra infermieri che lavorano in casa di riposo e ospedale. Una situazione di sofferenza acuita in questo periodo dalla sospensione degli operatori non vaccinati

di Flavia Pedrini

FIEMME E FASSA. "AAA infermieri cercansi". La richiesta, l'ennesima, arriva dalle case di risposo di Predazzo e San Giovanni di Fassa che, dopo avere sperato invano che qualcuno rispondesse all'appello, hanno deciso di prorogare fino al 26 novembre 2021- alle ore 12 - i termini per presentare la domanda di mobilità volontaria per la copertura a tempo indeterminato per quattro infermieri professionali della categoria C, livello evoluto, prima posizione retributiva, a tempo pieno (36 ore settimanali).

Nel dettaglio due posti devono essere assegnati alla Apsp San Gaetano di Predazzo e altrettanti alla Apsp San Giovanni di Fassa (nella foto). Le carenze di organico sono un problema che attanaglia molte strutture assistenziali. Sul piatto c'è probabilmente anche il diverso trattamento economico tra infermieri che lavorano in casa di riposo e ospedale. Una situazione di sofferenza acuita in questo periodo dalla sospensione degli operatori non vaccinati.

«In primis ci sono stati licenziamenti e trasferimenti intervenuti nel corso dell'anno, a cui si è aggiunta l'impossibilità di riconfermare, in attesa di copertura, personale a tempo determinato che non ha accettato di vaccinarsi», spiega il direttore della struttura di Predazzo, Maurizio Belloni.

«Abbiamo prorogato il bando, che scadeva il 1° ottobre, perché non era arrivata nessuna domanda purtroppo. Sia questa volta che quella precedente, ma anche in occasione del concorso di giugno, abbiamo mandato circa 200 pec tra avviso a tutti gli ordini professionali infermieristici d'Italia piuttosto che a tutte le aziende similari alla nostra».

Missive spedite in Trentino, Alto Adige, Veneto, Piemonte, Lombarda, Friuli Venezia Giulia Emilia Romagna e presso le aziende sanitarie delle stesse regioni che di solito hanno una disposizione più ampia di personale. «Nelle nostre zone, quelle più periferiche, chi viene a lavorare o fa una scelta di vita oppure vuole riavvicinarsi a casa. Quando si fanno i concorsi le opzioni sulle tipologie di persone sono le prime due. Poi c'è la persona nuova, che vuole iniziare a lavorare e prova in zone dove è più facile entrare. Noi - prosegue - abbiamo 7 infermieri, di cui due a tempo parziale».

E l'organico pieno dovrebbe essere di almeno nove. «Per avere una turnistica normale servono almeno sei infermieri, se ci mettiamo le variabili, come la malattia o la giusta fruizione di permessi, basta poco per fare saltare il banco». E le prospettive non sono rosee. «Questa penuria di infermieri durerà per almeno altri tre anni, perché i primi che usciranno con le nuove aperture dalle scuole di infermieristica arriveranno dopo. Se anche questo procedura di mobilità andrà deserta, si dovrà procedere con il concorso».

«È una corsa ad ostacoli», conferma anche Elisa Emiliani, direttrice dell'Apsp della val di Fassa. «Da agosto 2019 siamo in costante emergenza. Basta una persona in quarantena e si devono fare i salti mortali per coprire i turni». Il personale qui è vaccinato, ma la coperta è troppo corta. «Dovremmo avere in organico sette infermieri e mezzo, ne abbiamo quattro e mezzo», spiega. Anche qui si sono giocate tutte le carte possibili per trovare infermieri. «Abbiamo già fatto due concorsi, uno con Tesero e l'altro con Predazzo, ma non siamo riusciti a coprire i posti. Ora proviamo con la mobilità volontaria». Le ragioni di questa penuria sono molteplici.

«Siamo in una valle a vocazione turistica e c'è poco personale locale che si forma per lavorare in sanità. Servirebbe una sensibilizzazione. Poi - aggiunge - non aiuta avere una Facoltà di infermieristica a numero chiuso e con un numero di posti ridicolo rispetto alle esigenze che ci sarebbero. Ma anche il Covid e la didattica a distanza hanno complicato la situazione e c'è chi ha lasciato il percorso. Quello dell'infermiere è un lavoro di grande responsabilità - osserva la direttrice - ma l'aspetto positivo per chi sceglie di venire in casa di riposo è la possibilità di costruire una relazione con gli ospiti in modo stabile».

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