Val di Fiemme / La sentenza

Cassazione: «Tra gli edifici minimo dieci metri». L'hotel deve ridurre i balconi per rispettare le distanze

La Cassazione respinge il ricorso di un albergo di Castello Molina e ribadisce che nonostante la competenza primaria sull'urbanistica, Provincia autonoma e Comuni trentini devono rispettare senza alcuna deroga il limite indicato dallo Stato

TRENTO. Chi ha costruito balconi e scale esterne senza rispettare il limite di 10 metri di distanza dall'edificio del vicino rischia di dover abbattere (o accorciare)le opere "sporgenti".

Questo anche se scale e balconi sono stati realizzati dal proprietario dell'immobile con tanto di concessione edilizia rilasciata dal Comune in base alla normativa della Provincia autonoma di Trento.

Provincia che, pur avendo competenza primaria in tema di urbanistica, quanto alle distanze minime per costruire deve adeguarsi a quanto prevede la normativa nazionale, in questo caso il decreto ministeriale numero 1444 del 1968.

Lo ha stabilito la Cassazione che ha respinto il ricorso della società titolare dell'Albergo Italia di Castello Molina di Fiemme che aveva realizzato opere esterne che, pur essendo autorizzate, violavano il limite, inderogabile, dei dieci metri di distanza dalal vicina. Vicina di casa che, attraverso l'avvocato Paolo Pontrelli, ha ingaggiato una battaglia legale durata oltre 10 anni contestando balconi e scala esterna "sporgenti".

In primo grado, nel 2012, il ricorso della vicina era stato respinto dal Tribunale di Trento.

Tre anni dopo, però, la Corte d'appello aveva ribaltato il giudizio accogliendo il ricorso dell'avvocato Paolo Pontrelli. La società proprietaria dell'albergo era stata condannata «ad arretrare il fronte nord della sopraelevazione eseguita nel 2007 fino alla distanza di dieci metri dalla fronteggiante computando le distanze dal bordo esterno dei balconi che vi si affacciano, nonché ad arretrare la scala esterna posta sul fronte est del fabbricato fino alla distanza di 10 metri dal fronteggiante edificio».

Nella sentenza della Corte d'appello, ora confermata dalla Suprema Corte, si rilevava come il consulente tecnico nominato dal giudice avesse accertato che la scala esterna non rispettava il limite minimo dei 10 metri di distanza.

Inoltre in sentenza si precisa che la disciplina delle distanze «rientra nella materia dell'ordinamento civile appartenente alla competenza legislativa esclusiva dello Stato».

Concetto ribadito ora anche dalla Cassazione: «Secondo l'orientamento di questa Corte - si legge nella sentenza depositata nei giorni scorsi - formatosi nel solco della giurisprudenza costituzionale, il regime delle distanze tra costruzioni nei rapporti tra privati appartiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, cui le Regioni possono derogare solo con previsioni più rigorose, funzionali all'assetto urbanistico».

Non sfugge a tutto ciò neppure la Provincia di Trento nonostante la competenza primaria in materia di urbanistica.

Chi ha realizzato, o progetta di realizzare, balconi che guardano verso la casa del vicino deve dunque rispettare al centimetro i 10 metri di distanza minima, altrimenti rischia - a seconda dei casi - la riduzione in pristino o il risarcimento dei danni.

La Cassazione sottolinea anche che «non sono computabili per la misurazione delle distanze esclusivamente le sporgenze esterne del fabbricato con funzione meramente ornamentale, mentre costituiscono corpo di fabbrica quelle aventi particolari proporzioni, come gli aggetti, anche se scoperti, poiché rientrano nel concetto civilistico di costruzione, essendo destinati ad estendere e ampliare la consistenza dei fabbricati.

Cosa accade ora? L'albergo Italia di Castello Molina di Fiemme cercherà probabilmente un accordo con la vicina, altrimenti dovrà accorciare scala e balconi. Più in generale i comuni che consentono di derogare dalla distanza minima di 10 metri dovrebbero cambiare il loro regolamento per evitare di alimentare contenzioso tra privati a colpi di centimetri e cause civili.

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