Alzheimer, vergogna in famiglia Al centro ascolto solo due telefonate
Aperto ormai da qualche mese, il Centro di ascolto Alzheimer di Pinzolo curato dall’associazione «Accogliamo l’Alzheimer» ha ricevuto solo due telefonate. Un centralino a disposizione tutte le mattine, due sportelli aperti un paio di volte a settimana uno a Pinzolo, presso la casa di riposo Abelardo Collini, e uno a Tione in Comunità delle Giudicarie, ma il telefono non squilla e le persone che chiedono assistenza e aiuto sono pochissime.
«Ce lo avevano anticipato altri responsabili di centri simili che per mesi non avremmo avuto contatti – spiega il direttore Silvano Stefani – ce lo aspettavamo, ma speriamo cambi».
Non è colpa del centro e nemmeno della mancata comunicazione, ma la ragione ha radici culturali e sociali: è la paura delle persone di ammettere che in famiglia qualcuno è stato colpito dalla malattia. «C’è lo stesso atteggiamento che avevamo vent’anni fa nei confronti dei tumori - spiega Lorena Dalbon, coordinatrice del Centro residenziale Abelardo Collini – vergogna e segretezza». La malattia è subdola, nei primi stadi è difficile da riconoscere e chi ne viene colpito spesso la nasconde - «sono anche molto ironici su se stessi, trovano mille modi per nascondere i sintomi» spiegano al centro – poi i famigliari più prossimi se ne accorgono ma anche a questo punto l’ammissione del problema è un processo lungo: «Le famiglie – prosegue Dalbon - reggono quattro, magari cinque anni, occupandosi da sole come possono di chi è affetto da Alzheimer senza dirlo a nessuno, poi scoppiano e cominciano a chiedere aiuto ma intanto cinque anni sono molti».
All’Abelardo Collini, nel novembre 2011, in occasioni dei lavori di ampliamento della casa di riposo, è stato aperto un piccolo nucleo apposito nel quale ci sono oggi 14 residenti assistiti da 9 persone con una formazione molto particolare che va oltre l’aspetto medico. Nello stesso anno è nata l’associazione di ascolto e con il sostegno dell’assessorato provinciale alla sanità è stato aperto i centro di ascolto.
«Si è capito quattro anni fa – spiega il direttore Stefani – che era impensabile gestire la patologia assieme agli altri, c’era bisogno di un ambiente dedicato e di personale appositamente formato». Così, con l’aiuto dell’assessorato, è nato il nucleo residenziale.
«Si lavora molto sull’ascolto e sull’autostima – spiega Dalbon – con l’obiettivo di aumentare il benessere di queste persone, perché con la sola gestione del sintomo, per esempio l’aggressività, non si va da nessuna parte». A passeggiare nella struttura si respira un ambiente famigliare, disegnato per evitare quegli elementi che creano disturbo ai malati di Alzheimer, dai colori ai rumori forti, fino alla presenza di costrizioni. I famigliari possono accedere liberamente, usufruire dell’assistenza psicologica e trovare consigli su come gestire la malattia. Ma si sa, è difficile essere profeti in patria: il centro è studiato e visitato da esperti di tutta Italia, ma quelli che si vedono di meno sono proprio i locali, cittadini e anche, più colpevolmente, operatori del settore.