Giustizia / La storia

Il caseificio di Coredo, un bimbo in coma e la figuraccia del «formaggio fresco» con marchio dell’Apt

Fra scarica barile («è una scelta di Concast Trentingrana») e le proteste del papà del piccolo, ecco tutte le tappe di una vicenda nata male e gestita peggio, dove nessuno chiede scusa ed i politici stanno zitti zitti

VAL DI NON. Se in questi giorni vi siete imbattuti in articoli o servizi televisivi che parlano del caseificio di Coredo, è perché la triste vicenda (anche giudiziaria) di un bambino che da sette anni è in coma (all’epoca dei fatti aveva 4 anni) per aver assaggiato prodotti a base di latte crudo durante una gita dell’asilo, è stata rievocata per la brillante idea di promuovere un nuovo formaggio «fresco» del Caseificio. Un gesto – promosso con una bella conferenza stampa e foto ricordo, comprese alcune personalità condannate per il danno) – e con la concessione del marchio dell’Apt Val di Non. Che a molti è sembrato fuori luogo.

CHE COSA E’ SUCCESSO

Il 9 marzo scorso infatti nella sfarzosa cornice di Castel Valer è stato presentato “Val di Non Fresco Formaggio Nostrano” prodotto dal Caseificio Sociale di Coredo a cui per la prima volta rispetto ad un prodotto agroalimentare, l’Azienda per il Turismo della Val di Non ha concesso il proprio marchio.

Una decisione a suo modo storica, motivata dal presidente dell’Apt, Lorenzo Paoli «come iniziativa che valorizza il territorio attraverso un prodotto di altissima qualità e premia il lavoro competente e appassionato del Gruppo Formaggi Trentini». Fin qui potrebbe trattarsi di un articolo redazionale, di quelli confezionati ad hoc per pubblicizzare un prodotto. Così però non è, perché da questa premessa in Val di Non è esploso un autentico caso.

A far esplodere la bomba con alcuni post al vetriolo pubblicati sui social, è stato Giovanni Battista Maestri, il papà del bambino che da sei anni e mezzo è condannato ad una vita da vegetale, dopo aver consumato del formaggio contaminato dal batterio dell’escherechia coli prodotto proprio dal Caseificio di Coredo, come stabilito da una recente sentenza del giudice di pace di Cles, Daniele Bonomi.

Sentenza che, accertato il nesso causale fra le lesioni subite dal bambino e il consumo del formaggio incriminato, ha portato alla condanna per lesioni personali gravissime dell’ex presidente del caseificio sociale di Coredo Lorenzo Biasi e del casaro Gianluca Fornasari.

Il padre del bambino, raggiunto dall’Adige al telefono, è un misto fra grande amarezza e tanta rabbia, gran parte della quale comprensibilmente accumulata in quasi sette anni di inferno in terra ad accudire un figlio che era sanissimo prima di mangiare quel maledetto pezzo di formaggio contaminato. «Non posso accettare che su un nuovo formaggio prodotto da quel caseificio, l’Apt della Val di Non abbia apposto il proprio marchio - si sfoga Maestri -. Fra tanti caseifici che hanno operato senza alcuna macchia in passato e sono ancora oggi attivi in Val di Non, qualcuno mi spiega perché è stato scelto proprio l’unico condannato nelle sue figure di responsabili per aver prodotto un formaggio pericoloso per la salute che ha causato lesioni gravissime a un bambino? Di questo proprio non riesco a capacitarmi: per come la vedo io il marchio, semmai, andava dato al formaggio prodotto da tutti gli altri caseifici, tranne che a quello di Coredo».

Ad addolorare e incattivire Maestri anche le foto relative alla presentazione di tre giorni fa a Castel Valer: «In quelle ufficiali non è ritratto, ma in altre - rivela - ho visto che all’evento ha partecipato anche il casaro condannato, Gianluca Fornasari. L’ho trovata una cosa inopportuna al limite del disgusto».

Bersaglio principale delle pesanti invettive social di Maestri, il presidente dell’Apt Val di Non Lorenzo Paoli a sua volta è stato contattato dal giornale per una replica. «Intervengo volentieri, anche perché mi si consente di dar conto dei tanti messaggi e delle tante telefonate di solidarietà ricevute per gli attacchi anche sopra le righe ricevuti via social dal signor Maestri».

Paoli ritiene di non aver nulla di cui giustificarsi, semplicemente perché la decisione stigmatizzata da Maestri di affidare al caseificio di Coredo la produzione del nuovo formaggio, non è dipesa dall’ente che lui presiede: «L’idea di realizzare questo formaggio, che è a latte pastorizzato e con 60 giorni di stagionatura, è stata di Trentingrana e Concast - spiega -. Il progetto volto a sostenere la zootecnia della valle è stato gestito per intero da questi soggetti. All’Apt Val di Non è stato solo proposto di mettere il proprio marchio su un’iniziativa tesa a valorizzare tutto il territorio della Val di Non. E rispetto a questo, che è il nostro ambito, abbiamo aderito. Per tutto quello che è venuto prima e che riguarda l’individuazione del prodotto e chi lo deve produrre, l’Apt Val di Non non ha avuto - come era giusto che fosse, trattandosi di questioni tecniche - alcuna voce in capitolo».

LA RABBIA DEL SINDACO DI RONZONE

Sul caso del Caseificio di Coredo a cui l’Apt della Val di Non si è legata nella promozione di un formaggio di nuova produzione la recente condanna dello stesso caseificio per lesioni gravissime subite 7 anni fa da un bimbo, ha preso posizione il sindaco di Ronzone, Marco Battisti. Lo ha fatto chiedendo l’amicizia su Facebook a Giovanni Maestri, il papà del bambino. «Perché chiedere scusa ti rende una persona integra e degna - si legge nel post - . Perché l’Apt sta facendo più danni della grandine. Perché Giovanni e la sua famiglia hanno una tragedia inimmaginabile in casa. Perché la scelta più comoda è sempre quella di non schierarsi o del silenzio per opportunità. Perché non ho mai avuto paura delle conseguenze di dire o fare quello che ritengo giusto. La Val di Non ed il Trentino hanno persone meravigliose che non meritano tutto questo, ripartiamo insieme con Giovanni. Per sempre vicino alla famiglia. Il dissidente e dimissionario da Apt (decisione risalente a fine 2021 ndr) Marco Battisti, sindaco di Ronzone e albergatore». Amicizia concessa, ovviamente, con l’auspicio di Maestri «che altri sindaci seguano l’esempio di questo loro collega».

IL CDA DELL’AZIENDA DI TURISMO

Venerdì non ci sono state dimissioni, né prese di posizione particolarmente accese. Semplicemente ci si è confrontati sulla gestione di un progetto, quello denominato “Val di Non Fresco Formaggio Nostrano”, che vede coinvolto in prima fila il Caseificio Sociale di Coredo e che è finito nell’occhio del ciclone.

È stato un Consiglio d’amministrazione lungo, con tanti punti all’ordine del giorno, quello andato in scena ieri pomeriggio nella sede del Gruppo Miniera San Romedio a Tassullo coinvolgendo i consiglieri dell’Apt Val di Non.

Un cda al quale ha preso parte anche il presidente di Trentingrana Concast Stefano Albasini e che si è aperto, da quanto trapelato, proprio con un dibattito su come è stata gestita la campagna di comunicazione e marketing relativa al nuovo prodotto caseario, lanciato un paio di settimane fa.

I vertici dell’Azienda per il Turismo nonesa, sentiti ieri telefonicamente, hanno preferito non rilasciare dichiarazioni su quanto emerso nel corso della riunione.

La loro posizione, comunque, rimane quella che sostiene come alla base della polemica sorta nell’ultimo periodo ci sia un equivoco. Un equivoco per cui l’Apt non avrebbe conferito alcun marchio di qualità e il progetto, proposto da Trentino Concast, riguarderebbe un formaggio nostrano prodotto con latte pastorizzato (e non fresco) nel Caseificio di Tuenno che si è fuso con quello di Coredo. L’Apt avrebbe quindi sostenuto l’iniziativa perché rientra in un piano più ampio sulla zootecnia e la produzione di formaggi, coinvolgendo più caseifici.

In ogni caso venerdì pomeriggio all’esterno dei cancelli era presente anche Giovanni Battista Maestri, il papà del bimbo da 7 anni in stato vegetativo dopo aver mangiato un pezzo di formaggio. Maestri ha distribuito ai membri del Consiglio d’amministrazione un volantino in cui viene riportata la copertina del libro “Le avventure di Pinocchio – Storia di un burattino”, scritto da Carlo Collodi e pubblicato a Firenze per la prima volta nel 1883. Nessun riferimento esplicito, anche se non è difficile immaginare a chi faccia allusione.

Sono due, sostanzialmente, le richieste di Maestri. «Pretendo che venga ritirato il marchio al Caseificio di Coredo e che il presidente Lorenzo Paoli, il vice Andrea Widmann e chi si occupa di marketing all’interno dell’Apt Val di Non, almeno loro, vadano a casa – spiega –. Non possono mancare di rispetto in questo modo a un bambino in stato vegetativo da 7 anni. E non me ne frega nulla delle querele, anzi: che abbiano il coraggio di denunciarmi».

Sulla vicenda intende fare luce anche la consigliera provinciale Lucia Coppola (Alleanza Verdi e Sinistra), che ha presentato un’interrogazione per capire se la Provincia intenda interloquire con l’Apt Val di Non affinché ritiri il marchio al formaggio prodotto dal Caseificio di Coredo. Si è trattato dell’unica voce (dell’opposizione) da parte di un rappresentante del popolo in Consiglio Provinciale. Perché tutti gli altri, assessori in primis, sono rimasti zitti zitti. Eppure l’ex assessora Zanotelli – oggi vicepresidente della Giunta Regionale – era alla presentazione del «fresco formaggio».

CHE COSA DICE LA SENTENZA

La sentenza è arrivata dopo sei anni e mezzo da quando la vita di un bambino e quella della sua famiglia sono state segnate per sempre. A mettere un primo punto fermo nella drammatica vicenda del piccolo che si era sentito male dopo aver mangiato formaggio contaminato da escherichia coli (un batterio contenuto nel latte crudo) è stato il giudice di pace di Cles, Daniele Bonomi. Alle 13.30 di venerdì 15 dicembre 2023, al termine della camera di consiglio, ha letto la sentenza di condanna per lesioni personali gravissime a carico dell'ex presidente del caseificio sociale di Coredo, Lorenzo Biasi e del casaro Gianluca Fornasari, ai quali è stata comminata la pena di 2.478 euro di multa (la pena base di 1.239 euro, diminuita per le attenuanti generiche e aumentata del triplo), oltre al pagamento di tutte le spese processuali.
Il magistrato si è invece dichiarato incompetente sulla domanda di risarcimento dei danni: sarà il giudice civile ad occuparsene. Ora si dovranno attendere le motivazioni, ma il giudice di pace (competente per questo reato) ha di fatto accolto la richiesta di condanna della pm Federica Chesini e della parte civile, rappresentata dagli avvocati Paolo Chiariello e Monica Cappello (del procedimento civile si occupano invece Andrea e Massimiliano Debiasi), riconoscendo un nesso causale tra l'assunzione del formaggio "Due Laghi" - acquistato presso il Caseificio e contaminato dal batterio - e l'insorgere della terribile Seu, la sindrome emolitico-uremica, una infezione causata da alcuni ceppi di Escherichia coli, che ha provocato danni irreparabili nel piccolo, ridotto ad uno "stato vegetativo insanabile" come era emerso dalla toccante testimonianza del papà, Giovanni Battista Maestri, che in questi anni ha sempre ribadito: «Vogliamo sia accertata la verità su quanto è successo, perché non debba ripetersi mai più».
E proprio intorno al cosiddetto nesso causale , si è giocata la battaglia giuridica. Durante le repliche, la pm Chesini era stata netta, nel chiudere la porta a qualsiasi ipotesi alternativa, rispetto alla «certezza» che il formaggio mangiato dal bambino, ghiotto di "Due Laghi" - acquistato presso il Caseificio sociale di Coredo il 3 giugno 2017 come prova lo scontrino - appartenesse al lotto contaminato e finito sotto sequestro. Una contaminazione determinata dalle presunte violazioni e omissioni degli imputati sui controlli (nell'altro procedimento in tema di sicurezza igienico sanitaria era emerso come potesse accadere che il tubo collegato alla cisterna del socio conferitore toccasse terra e si sporcasse di letame, e che lo stesso tubo fosse poi posizionato nella vasche di raccolta a contatto con il latte).
Anche l'avvocato Chiariello ha ricordato come, a fronte di «prodotti a latte crudo intrinsecamente pericolosi», i controlli fossero stati assenti ed ha ribadito, forte di quanto emerso dalle consulenze prodotte dalla parte civile - le stesse che avevano fatto ritirare alla procura la richiesta di archiviazione - come non potessero esserci ipotesi alternative rispetto alle modalità con cui il piccolo aveva contratto l'infezione, ovvero l'assunzione del formaggio contaminato.
Il consulente della procura e quello della parte civile, pure seguendo percorsi diversi, sono arrivati alla stessa conclusione: la possibilità di errore, rispetto al fatto che la causa della malattia del bambino sia il formaggio, si ferma tra un 1 su un milione e 6 su un milione.
Una ricostruzione, come detto, contestata dalla difesa: «Non c'è alcuna prova certa», ha ribadito l'avvocato Forte, invitando il giudice a non seguire «suggestioni legate all'emotività» piuttosto che informazioni «fondate su prove. «Non ci sono dati che portino ad una conclusione certa nei confronti degli imputati», ha sottolineato. Ma per il giudice di pace, invece, le responsabilità di entrambi sono state accertate.

UNA CODA GIUDIZIARIA PER LA DIAGNOSI

Nella vicenda, anche una coda giudiziaria. Lesioni personali colpose gravissime in attività medica e omissione di atti d'ufficio: questi i reati contestati alla dottoressa dell'ospedale Santa Chiara di Trento che - secondo l'accusa - nel giugno 2017 avrebbe rifiutato di fornire un consulto ad un collega che si stava occupando di un caso delicato. Era infatti in corso la valutazione del bimbo che si era sentito male dopo aver mangiato un formaggino contaminato. Il bambino è ora ridotto ad uno stato vegetativo insanabile.

La dottoressa è stata rinviata a giudizio. Il processo dibattimentale si aprirà ad aprile. Al piccolo, che all'epoca aveva solo 4 anni, due giorni e mezzo dopo il ricovero venne diagnosticata la Seu, la sindrome emolitico-uremica. Come indica l'Iss, Istituto superiore di sanità, «il decorso della Seu può essere rapido per cui è importante intervenire molto tempestivamente ricorrendo a centri ospedalieri di riferimento specializzati (reparti di nefrologia, dialisi, pediatrie)».

Per questo motivo, per il diniego al consulto che avrebbe comportato la mancata tempestività nella diagnosi, il papà del bambino aveva presentato un esposto contro la dottoressa che - riferì il genitore - aveva detto di essere «occupata e stanca». Una vicenda drammatica, per la quale nel dicembre scorso sono stati condannati per lesioni personali gravissime l'ex presidente del caseificio sociale di Coredo Lorenzo Biasi e il casaro Gianluca Fornasari: il giudice di pace di Cles Daniele Bonomi ha comminato loro la pena di 2.478 euro di multa, oltre al pagamento di tutte le spese processuali.

RIASSUNTO giornalistico basato sugli articoli del giornale l’Adige di Pietro Gottardi e Fabrizio Brida


 

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