Accusa di «corna» il capo e la collega: condannato
Contenzioso in azienda, conto da 8.500 euro
Insinuare che una donna sposata abbia avuto un figlio con un altro uomo, a suo volta impegnato, è già di per sé un fatto odioso e grave. Se poi queste offese - peraltro false - sono rivolte al titolare di un'azienda e ad una dipendente, vengono messe nero su bianco e sono inviate al collegio di conciliazione ed arbitrale per un contenzioso riguardante una sanzione disciplinare, la questione rischia di costare cara all'improvvido scrittore. Ne sa qualcosa l'uomo finito davanti al pace di Pergine con l'accusa di diffamazione e condannato a pagare 450 euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, 2.500 euro per le spese di costituzione di ciascuna delle due parti offese e 1.500 euro - sempre per ognuna - come risarcimento per i danni morali causati.
La vicenda approdata in Tribunale risale alla primavera del 2013 e si inserisce nell'ambito di un contenzioso riguardante una sanzione disciplinare elevata al dipendente di un'azienda. Secondo l'accusa, nello scritto indirizzato al collegio di conciliazione ed arbitrato, nel quale veniva impugnato il provvedimento, l'imputato avrebbe infatti «offeso gratuitamente la reputazione» del legale rappresentante dell'azienda e di un'impiegata, sostenendo che la donna aveva avuto un figlio con il titolare, all'epoca sposato con un'altra donna.
Un'affermazione che, oltre a non essere vera - viene evidenziato - era peraltro del tutto «estranea» quanto «irrilevante» ai fini del procedimento per il quale era stata prodotta. Va detto che l'atto incriminato sarebbe stato sottoscritto dall'imputato con il nome di un rappresentante sindacale e, per accettazione, di quello del dipendente sanzionato (entrambi finiti a loro volta imputati). Anche alla luce di quanto emerso nel corso del procedimento a carico degli altri due soggetti, ricorda il giudice, non ci sarebbero però dubbi sulla riferibilità dello scritto all'imputato: «Sentito quale testimone - si legge in sentenza - dichiarava di essere stato lui l'autore del suddetto scritto che aveva firmato al posto e con il nome» degli altri due.
E il giudice ritiene anche sussistente il reato. «Ai fini della configurabilità del reato di diffamazione - evidenza il giudice Alberto Bertolini - affermare che una donna sposata ha concepito un figlio a seguito di una relazione con un altro uomo sposato, appare certamente lesivo della loro reputazione (ossia il bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame), tanto più che tali apprezzamenti sono stati pronunciati in un contesto lavorativo di cui i rispettivi coniugi facevano parte». La difesa dell'imputato aveva chiesto l'assoluzione, forte di quanto prevede l'articolo 598 del codice penale, per cui non sono punibili le offese contenute in uno scritto presentato in procedimenti penali o amministrativi se riguardano l'oggetto della causa o del ricorso. Ma in questo caso per il tribunale «le offese non riguardavano l'oggetto della causa». Al contrario apparivano «gratuite» e lesive dell'onorabilità delle parti offese, colpite e toccate da quelle dichiarazioni. Tenuto anche conto che la maggior parte dei dipendenti dell'azienda era venuta a conoscenza di quelle pesanti insinuazioni. Da qui la condanna, salata: un conto di 8.500 euro.