Don Laghi a messa «Roghi, non cedere alla vendetta»
Sono ancora scossi gli animi a Palù del Fersina dopo il rogo dell'altra notte. Percorrendo la strada che si inerpica per la valle non è difficile, ora, scorgere auto dei carabinieri che compiono il loro giro di pattugliamento. E parlando con le persone che salgono a piedi dalla piazza centrale fino alla chiesa di Santa Maria Maddalena, un cammino di diverse centinaia di metri in rettilineo che sbocca su uno degli angoli più belli della Valle dei Mocheni, il discorso non fa che cadere sempre sugli stessi argomenti: paura, e tanta, perché tutti hanno ancora negli occhi le fiamme altissime che rischiavano di divorare il paese.
Anche il tramonto, ieri sera, suo malgrado e nella sua meravigliosa bellezza, ricordava il fuoco: il cielo, proprio mentre stava per iniziare la messa serale, si è «acceso», baciando con colori rossi e arancioni Palù ed i suoi abitanti.
E come annunciato, il parroco don Daniele Laghi ha voluto dare la sua parola di consolazione e coraggio alla comunità, colpita nel profondo dai fatti di cronaca. Don Daniele ormai è un'icona per tutti i valligiani, e alla messa, ieri sera, la chiesa era piena.
«Tante persone nella nostra comunità -ha detto all'omelia don Daniele- sono segnate dalla paura, dall'incapacità di dormire e stare sereni. La Parola di Dio stasera ci viene in aiuto. Ci dice che dobbiamo essere segno di consolazione, insieme. Non siamo chiamati a farci giustizia perché siamo chiamati ad infiammare il mondo con il fuoco dello Spirito Santo, che è fuoco che non brucia e non crea paura».
Don Daniele ha quindi dato la sua lettura alla situazione della comunità: «Di fronte a quello che è successo -ha proseguito- ci restano tanti perché, si ha paura dell'altro. La soluzione però non è farsi giustizia da soli, diventando più brutali delle bestie. Non dobbiamo cedere alla vendetta. Abbiamo bisogno di consolazione. Non dobbiamo puntare il dito verso chi ha compiuto questo, facendo del male. È chi ha compiuto questi gesti a doversi fare un esame di coscienza. Noi dobbiamo sentirci comunità ancora di più, lasciando che la giustizia faccia il suo corso e gli operatori si muovano nel miglior modo possibile a livello legale e istituzionale».
Una comunità che si trasformi quindi in un'unica famiglia, fatta di fraternità: la ricetta per alleviare le cicatrici.