Femminicidi / L’intervista

Il papà di Carmela Morlino, uccisa a Zivignago nel 2015: “L'incubo si rinnova, poveri bambini”

Matteo Morlino e la moglie hanno avuto in affidamento i nipoti, rimasti senza mamma:  “Un percorso duro, senza aiuti. Per anni abbiamo dovuto pagare il mutuo della casa  anche per la quota dell’assassino”

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VOCI/2 Massimo Baroni: «Imparare a rispettare le donne e le loro scelte»

di Paolo Micheletto

PERGINE. “Poveri bambini. Poveri bambini”. Matteo Morlino risponde al telefono da Foggia, dove vive. Matteo Morlino, 79 ani, è il padre di Carmela, uccisa a coltellate davanti ai figli dal marito Marco Quarta. Era la sera del 12 marzo 2015 e Carmela Morlino, 35 anni, stava rientrando a casa, a Zivignago. Accanto a lei c'erano i due bambini, che allora avevano sei e nove anni. Le due creature ora vivono con i nonni. L'uccisione di Ester Palmieri, per mano dell'ex compagno Igor Moser, lascia senza genitori tre figli piccoli, di 10, 9 e 5 anni.
Per Matteo Morlino è come rivivere l'incubo di nove anni fa. Un incubo dal quale peraltro non esce e uscirà mai: «Perché all'assassino (Morlino non chiama mai per nome l'uomo che ha ucciso la figlia, ndr) hanno dato trent'anni, mentre a noi hanno dato l'ergastolo».
Professor Morlino, ha saputo? Un altro femminicidio. In Trentino. Altri bimbi senza una madre, perché è stata uccisa dal loro papà.
Ho visto alla tv.
Ho saputo.Come ha reagito?
Pensando alla povera vittima e ai suoi bambini. I problemi saranno tantissimi: le assicuro che so di cosa parlo. Non sono ferite che si rimarginano in poco tempo.
Voi vi siete fatti carico di tutto. Li aveva accolti in casa.
Abbiamo fatto tutto quello che potevamo. La nostra presenza è stata importante dal punto di vista affettivo, ma non può immaginare cosa abbiamo passato. A volte arrivo a pensare che la più fortunata è stata nostra figlia, perché almeno non soffre più.
Ma non avete mai smesso di lottare per i vostri nipoti.
Sono i figli di nostra figlia. Ma se legge il libro «Orfani speciali» si rende conto di cosa può vivere chi sopravvive all'uccisione della mamma. I problemi sono tanti. Se io e mia moglie non avessimo avuto i soldi del trattamento di fine rapporto, visto che eravamo andati in pensione da poco, non avremmo potuto farcela, dal punto di vista economico.
Non ci sono aiuti?
Non ci sono aiuti. Da marzo 2015 a novembre 2018 abbiamo corso il rischio di avere conseguenze ancora peggiori.
Poi per fortuna la vostra presenza e l'aiuto di alcuni professionisti si sono rivelati decisivi.
Abbiamo avuto l'apporto di alcuni specialisti che si sono rivelati eccezionali: vorrei citare, ad esempio, la dottoressa Iacchia, una psicologa lombarda che ci segue quotidianamente e in forma gratuita.
Cosa ricorda del processo?
Abbiamo fatto dodici processi e voglio ringraziare l'avvocata Elisa Molinari per il suo lavoro e il suo impegno. Per la casa di Zivignago abbiamo continuato a pagare per anni il mutuo, anche per la parte di competenza dell'assassino, per evitare che l'abitazione venisse messa all'asta. Fortunatamente, alla fine del 2023, l'iter giudiziario per espropriare il 50% della casa all'assassino si è concluso. Ma è stata lunga.
Incredibile.
Davvero. Ora l'avvocato Molinari sta cercando di arrivare ad una transizione con la banca, la Unicredit di Pergine, per la parte restante del mutuo.
Professor Morlino, come si resiste a tutto questo?
È difficile, mi creda. A volte viene da pensare che siamo colpevoli di essere vittime. Diventiamo fuscelli in una tempesta.
Perché la burocrazia sembra non rispettare il dolore.
Guardi, io insegnavo Diritto e ho potuto far fronte culturalmente a tanti ostacoli che le istituzioni hanno posto. L'importante è farsi aiutare da persone esperte. Io ho fatto parte, fino a quando ho potuto, di un'associazione molto efficace, il Giardino segreto, che però opera soprattutto nell'Italia centrale.
Le posso chiedere se, dal 12 marzo 2015, avete mai avuto un momento di ritrovata serenità?
Prima di tutto i nostri problemi sono iniziati il 16 agosto dell'anno prima, il 2014, quando mia figlia ha denunciato il marito.
Quasi dieci anni fa.
E in questo lungo periodo l'unico momento di liberazione, non posso dire di felicità, l'abbiamo provato il giorno nel quale nostro nipote ha fatto la prima comunione. Abbiamo fatto il pranzo in un agriturismo vicino a Foggia, ed è stato l'unico momento di relax dai tanti problemi.
Siete credenti?
Sì, siamo credenti. Il Signore ci ha dato la possibilità di stare con i nostri nipoti, anche se l'età avanza: io ho 79 anni, mia moglie 72.
Cosa ricorda di quando avete ottenuto l'affidamento dei nipotini?
Prima di tutto le difficoltà: avere l'affidamento non è stato facile. Nostra figlia è stata uccisa il 15 marzo e l'affidamento per due anni è arrivato solo il 29 giugno. E da allora siamo scappati dal Trentino. Per fortuna, poi, ci hanno dato l'affidamento sine die. E abbiamo potuto evitare che i nostri nipoti finissero in una casa famiglia. Da benestanti, come eravamo, ci siamo trovati poveri, per garantire loro un futuro meno difficile.
Gli uomini continuano ad uccidere le donne.
Credo che prima di tutto il problema sia culturale. Noi viviamo in una società post talebana: l'abolizione del delitto d'onore è un fatto recentissimo, del 1981.
Bisogna lavorare sull'educazione, dai primi anni di vita.
Sì. Queste persone sono pure convinte di avere ragione. E anche le loro famiglie. Perché pensano che la colpa sia della donna.
Della donna che cerca di avere una vita indipendente.
Esatto. Il commento di una parte rilevante della società italiana è che la donna se l'è meritata, e che chi ha commesso il delitto è stato messo alle strette. Glielo dico per esperienza personale. È una società talebana, rimasta tale.
Se la sente di dare un messaggio che cambiare la società è possibile?
Solo con una forte azione culturale, che parta dalle scuole materne e dalle scuole elementari, per fare in modo che - tra venti o trent'anni - cambi il modo di pensare. Non è un problema che si affronta solo con qualche incontro alle scuole superiori. Bisogna formare una nuova società, che vada oltre coloro che hanno un'idea già formata. Certo, sono importanti le norme, ma non decisive: anche dopo l'introduzione del Codice rosso i femminicidi sono continuati. Poi un'ultima proposta.
Ci dica, professor Morlino.
Si devono obbligare le persone che fanno violenza in famiglia ad un trattamento psicologico, ad una psicoterapia. Un trattamento obbligatorio, non facoltativo.

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