Angelo, l'ingegnere che guida i satelliti
Missione Pathfiender, trentino il cervello
Ha i piedi ben saldi per terra Angelo Povoleri, perché altrimenti non sarebbe arrivato a governare un satellite nello spazio. Il trentaseienne roveretano infatti è colui che ha progettato il «cervello» del satellite lanciato il 3 dicembre scorso dall’European space operations centre (Esoc) di Darmstadt in Germania, il centro europeo per le operazioni spaziali che gestisce le operazioni di controllo dei satelliti dell’Agenzia spaziale europea (Esa). Dopo la val di Sole che ha dato i natali a Samantha Cristoforetti e l’ateneo trentino che ha fatto la sua parte nella missione Lisa Pathfinder - quella di cui stiamo parlando - ecco un altro rappresentante della nostra terra, stavolta roveretano. Angelo Poloveri, ingegnere aerospaziale, è a Darmstadt in queste settimane per seguire la prima delicata fase della missione del satellite Lisa Pathfinder, il cui obiettivo è «individuare prove sperimentali dell’esistenza di onde gravitazionali».
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L'INTERVISTA
Angelo, come procede la missione?
Bene. Resterò qui al centro di Darmstadt fino a Natale, perché la prima parte della missione è complicata. Ci sono una serie di manovre importanti per assicurarsi che il satellite arrivi dove dove arrivare. È uno dei «viaggi» più complicati in questo senso che sia stato fatto dall’agenzia europea. Non tanto per la tecnologia ma perché hanno scelto una strategia più complicata per via della mole del satellite, che è più pesante.
Qual è il suo ruolo nel progetto?
Io lavoro per Airbus, la grande azienda che, tra l’altro, fa progetti per l’esplorazione spaziale. Prima ho lavorato al progetto Gaia, lanciato due anni fa, poi sono finito ad occuparmi questo progetto. In sostanza quello che abbiamo progettato è il pilota automatico del satellite, quello che si premura che stia puntato dove deve puntare ossia che gli strumenti puntino nel verso giusto, che i pannelli solari siano rivolti verso il sole per produrre energia, che le antenne siano puntate verso la terra per poter comunicare. Il cervello del satellite, in poche parole.
Non se ne occupa da solo...
Dirigo una squadra di quattro persone. Quando mi occupavo di Gaia erano anche di più e il progetto era più costoso, ma avevo meno responsabilità. Ad ogni esperienza si cresce.
Facciamo un passo indietro, prima di tornare nello spazio: la sua preparazione a questo «viaggio» è cominciata da qui, dal Trentino, vero?
All’università di Trento ho frequentato il biennio in ingegneria e poi mi sono spostato a Milano per la specializzazione a Milano in ingegneria aerospaziale, con un anno a Stoccolma. Ho scelto il ramo spazio (l’altro è quello dedicato agli aerei) e il mio professore di fisica a Trento è stato Stefano Vitale, uno dei principale artecifi di questa missione. Ma questa è soltanto una coincidenza.
A parte questa parentesi tedesca, dove vive?
A Londra e lavoro a Stevenage, mezzora a nord della capitale. Sono finito lì undici anni fa, dopo aver concluso l’università.
A Rovereto però torna?
Sì. I primi anni abbastanza spesso. Adesso un po’ meno perché a Londra c’è la mia famiglia: la mia compagna è francese e abbiamo due bambini.
Sognava fin da piccolo di studiare lo spazio?
No. È nato tutto un po’ alla volta. Non ce l’avevo in testa fin da bambino. È stata più che altro la curiosità a spingermi e passo dopo passo sono andato avanti.
Concretamente cosa fa per orientare il viaggio di questo satellite nello spazio?
Creiamo modelli matematici per simulare la realtà. Algoritmi che permettono di controllare il satellite.
Quanto durerà questa missione?
È una missione “corta”, di un anno. Poi può essere che sia estesa. Di questo anno tre mesi sono di trasferimento in orbita e nove mesi di missione scientifica vera e propria. Quindi è piuttosto importante che arrivi dove deve arrivare.
E a lei personalmente cosa porterà questo viaggio nello spazio?
«L’esperienza di lavoro». Il bagaglio per un nuovo viaggio tra le stelle...