I gay non si sposano E aumentano i divorzi
«Era giusto fare le unioni civili. Una scelta normativa che tocca i diritti della persona prescinde da numeri o statistiche». A dirlo è Enrico Costa, ministro degli affari regionali con delega alla famiglia, che riporta i dati sulle unioni civili celebrate finora in Italia: 2.802 in 8 mesi.
E i media nazionali si sono scatenati, parlando di flop visto che, in fase di discussione del provvedimento, ci si aspettava la corsa ai Comuni tra coppie dello stesso sesso per pronunciare il fatidico «sì» e uscire dalla clandestinità istituzionale.
Unirsi civilmente, dunque, ha fatto più parlare che realmente firmare atti in municipio. E Rovereto non è da meno, confermandosi in linea con il resto del Paese. A legge appena adottata l’anno scorso, infatti, si sono celebrate ben 3 unioni civili in città a cui si devono aggiungere 9 coppie che hanno scelto queste «nozze» alternative in altri Comuni pur vivendo a Rovereto.
Passata la sbornia mediatica, il sistema ha però segnato il passo. Tradotto vuol dire che in questi primi quattro mesi del 2017 la casella riporta il segno zero e non sono previsti riti almeno fino a dopo l’estate. A meno di una corsa al sindaco o chi per lui in autunno-inverno, dunque, niente «matrimoni» gay nella città della pace e dell’accoglienza.
Anche le nozze tradizionali - religiose o civili non fa differenza - hanno smorzato i timidi entusiasmi di ripresa del passato. E questo nonostante la pioggia di pubblicazioni di matrimonio che in un solo quadrimestre ha fatto pensare al boom: 52 considerando che i «sì» benedetti dalle carte bollate, nel 2016, sono stati 71 ma in dodici mesi.
La realtà è ben diversa: l’ufficio anagrafe, infatti, ha registrato solo 12 sposalizi. E gli altri 40? Emigrati in altre città o paesi ma «costretti» dalla legge ad annunciare le nozze anche nel comune di residenza prematrimoniale.
Un segnale, questo, che si porta appresso un altro dato statistico poco confortante: la fuga di roveretani dall’urbe e l’allontanarsi del «sogno» di sfondare il muro dei 40 mila abitanti. Il dato, tra l’altro, è confermato proprio dai registri: a fine dicembre eravamo 39.594 e a maggio siamo suppergiù gli stessi.
Tornando al matrimonio, l’istituzione ha dunque ripreso a scricchiolare, forse assorbita dalla più lunga crisi economica della storia. Che «invita» la gente a starsene alla larga da altari e municipio anche se la fascia tricolore attira di più della chiesa. Ma in questo caso c’è da considerare che diverse coppie che si uniscono formalmente sono straniere o miste e dunque, il più delle volte, non cattoliche. Lo scorso anno, comunque, il 71,72% ha preferito scambiarsi le fedi in piazza del Podestà contro il 28,28% sull’altare con la benedizione del prete.
Non ha contribuito a far crescere lo scambio di anelli nemmeno l’ampliamento dei fiori d’arancio che, rispetto al passato, non «fioriscono» più solo a maggio, giugno e settembre ma lungo tutto l’arco dell’anno. Insomma, le mezze stagioni non esistono più nemmeno per i matrimoni.
Se il «sì» ufficiale è in crisi, comunque, con il calo dei riti a crescere sono purtroppo divorzi e separazioni. E questo, in parte, grazie alla semplificazione burocratica dell’addio. Fino a un biennio fa, infatti, quando la coppia scoppiava doveva necessariamente farlo in tribunale, davanti a un giudice. La legge, adesso, consente invece di rompere il sodalizio sentimentale anche in Comune.
Il cosiddetto «divorzio breve», applicabile solo in assenza di attriti personali, di divisioni del patrimonio e, soprattutto, di figli minori, è in deciso aumento. L’anno scorso in piazza del Podestà si sono registrate 50 soluzioni consensuali, 39 divorzi e 11 separazioni. Un modo per snellire la procedura senza scomodare avvocati e togati visto che, rispetto ai tre anni del passato, bastano solo sei mesi per tornare ufficialmente single.