Botte da orbi tra vicine nella casa della Curia Il cortile come un ring. «Pace» con 600 euro
In tempi non troppo recenti qualcuno considerava le donne il sesso debole. Ma quella, per fortuna, era ben altra realtà rispetto ad oggi. Al di là dei luoghi comuni, c’è da registrare che la lite con alzata di mano (e non certo per votare chi abbia ragione, la democrazia nelle beghe non riesce quasi mai a fare capolino) non è più prerogativa esclusiva degli uomini che, per qualche ragione, devono spesso e volentieri dimostrare di essere più forti, virili appunto. No, delle discussioni magari per futili motivi degenerano anche quando i contendenti sono, si sarebbe detto non a caso un tempo, esponenti del cosiddetto sesso debole.
Capita così che un diverbio nato nel cortile di casa - e in questo caso il condominio in questione è di proprietà della Curia vescovile di Trento, che potrebbe far pensare ad animi più sereni - finisca a botte. È quanto è successo a Rovereto dove una diatriba ha ben presto riposto nel cassetto gli epiteti più colorati e gli improperi da stadio per sfociare in un parapiglia con schiaffi e pugni. E non si può parlare di rissa è solo perché numericamente il numero era ridotto a tre contendenti. Peccato, però, che non si sia trattato di un tutti contro tutti ma di un impari due contro una con quest’ultima che, ovviamente, ha avuto la peggio buscandole di santa ragione. E buon per lei che a rasserenare gli animi, o quantomeno a riportare l’ordine dividendo le tre litiganti, è intervenuto proprio l’avvocato della Curia, bontà sua.
Il caso, però, non si è chiuso come dopo uno sfogo «canonico» ma è approdato davanti al giudice di pace Riccardo Vallini Vaccari. Che, alla fine, ha dichiarato estinto il procedimento perché le due amiche manesche hanno messo sul tavolo della parte lesa, nel corso dell’udienza, un assegno da 600 euro come risarcimento dei danni. E sempre in aula si sono prodotte in un sufficiente quantitativo di scuse. Di qui la decisione di non proseguire oltre con la tenzone.
Peccato, però, che la parte civile non si è sentita risarcita e non tanto, o non solo, per la cifra ritenuta non congrua al pestaggio (ha ricordato che, a causa della botte, ha dovuto ricorrere a cure costanti, della serie che un cerotto non è bastato affatto e nemmeno una medicazione all’ospedale) ma perché l’atteggiamento delle due antagoniste è stato tutt’altro che civile al termine della disputa fisica. Di scuse o di chiarimenti verbali, per capirci, non se n’è mai voluto parlare se non, come detto, in udienza. Di qui la richiesta di procedere per il reato di percosse in concorso e non dichiarare buono il risarcimento proposto.
Il giudiche Vaccari, però, dichiarando chiusa, senza discutere oltre, la causa, ha ricordato in sentenza che «tenuto comunque conto che della offerta riparatoria e delle scuse formalizzate dalle imputate in udienza va dichiarata l’estinzione del procedimento per intervenuta condotta riparatoria avendo queste attuato, con l’offerta banco iudicis de quo e con le scuse espresse, una condotta riparatoria consistente in un risarcimento economico che appare congruo al fatto indicato nel capo di imputazione, sussistono i presupposti per l’applicazione dell’articolo 35 del decreto legislativo 274 del 2000 e dichiara estinto il reato per intervenuta condotta riparatoria».
Insomma, botte da orbi in salsa rosa ma nessun colpevole. L’importante, d’altro canto, è tenere il portafoglio a portata di mano.