Femminicidio / L’intervista

Uccisa nel parco di Rovereto, la presidente degli psicologi del Trentino: “Un trauma per la comunità”

Interviene Roberta Bommassar: «Questo delitto ha fatto venire meno le certezze. Si è scoperta vulnerabile. Dietro il delitto ci sono certamente questioni legate all'ordine pubblico. Ma non solo»

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di Matthias Pfaender

ROVERETORoberta Bommassar, presidente dell'ordine degli psicologi del Trentino. Dottoressa, la comunità roveretana è ancora molto scossa. Cosa sta affrontando? «Utilizzo con prudenza e raramente questo termine; ma in questo caso si può dire che i roveretani hanno subito un trauma». In che termini?«Hanno visto venire meno le loro certezze». Cosa che non è successa con i diversi omicidi precedenti? «No, perché questo è avvenuto all'aperto. Gli altri per lo più in ambito familiare o casalingo. E di fronte a casi del genere la risposta emotiva è forte: sdegno, rabbia. Ma in termini di pensiero è molto piatta. Non ci affatica. Si pensa: "È qualcosa che capita agli altri" o "A casa mia non potrebbe mai succedere". Ma in questo caso non si può. Perché Iris Setti ha avuto solo la "colpa" di essere al posto sbagliato nel momento sbagliato».

Oltre duemila persone alla fiaccolata in ricordo di Iris e Mara, assassinate a Rovereto

Grande partecipazione a Rovereto alla fiaccolata dedicata alle due vittime dei femminicidi avvenuti in città nel corso di una settimana: Mara Fait e Iris Setti. Oltre duemila i partecipanti all'iniziativa, nella serata di mercoledì 9 agosto, promossa dalle comunità parrocchiali in questo momento di profondo dolore e sgomento

Ed è una "colpa" che tutti posso avere.

«Esatto. E qui c'è l'origine dell'angoscia collettiva: scoprirsi vulnerabili. Essere di fronte a qualcosa di nuovo, e spiacevole; qualcosa che va oltre la nostra capacità di tollerare. Un'esperienza di rottura».

La paura del nuovo. O meglio, dell'ignoto?

«Anche. La nostra sicurezza e stabilità interna vive solo in un contesto che conosciamo e sappiamo prevedere. Questo omicidio brutale ha rotto la routine delle esperienze precedenti».

Una reazione emotiva…

«Assolutamente sì. Statisticamente, la possibilità che a Rovereto si riproponga un evento simile nel breve periodo è molto bassa. Eppure la paura nella comunità c'è. Se l'omicidio fosse avvenuto in un contesto più abituato alla violenza, magari nella periferia di una metropoli, l'impatto emotivo sarebbe stato differente».

La comunità per ora ha reagito organizzando eventi collettivi: una riunione, una fiaccolata. È il modo giusto di affrontare colletivamente un trauma?

«Sono iniziative che hanno di base lo stesso obiettivo psicologio dei funerali: condividere il dolore. Quindi vanno bene, anzi sono positive, nei limiti in cui non diventino vettore di regressione al pensiero unico».

Cioè?

«È altrettanto naturale per la gente, di fronte a choc come l'omicidio di Iris Setti, cercare dei riduttori di complessità. Trovare risposte facili. Come lo è l'individuazione del nemico, in questo caso l'uomo di colore, l'extracomunitario, o ancora il pazzo. Una volta che trovi il "cattivo", da opporre idealmente ai "buoni", dei quali noi ovviamente facciamo sempre parte, puoi sfogare le reazioni in forma binaria, ed eviti la fatica di affrontare la complessità della situazione. Dietro il delitto ci sono certamente questioni legate all'ordine pubblico. Ma non solo».

Le reazioni, spesso scomposte, delle istituzioni, della politica e degli organi statali che sono coinvolti nella vicenda non devono avere aiuto in questo senso

.«Condivido».

E sta montando anche un'altra polemica. Almeno, a guardare il termometro dei social network. Sempre più persone biasimano i testimoni dell'aggressione per non essere intervenuti.

«Una polemica strumentale, finalizzata, anche questa, alla riduzione della complessità. Di fronte all'enormità di quanto accaduto non basta un solo colpevole, ovvero l'autore stesso dell'aggressione, così se ne individuano altri, in questo caso i "testimoni passivi", su cui riversare smarrimento e rabbia».

Non c'è almeno una parte di ragione in questo?

«Non direi. Di fronte ad un'esperienza che non conosciamo, tanto più se traumatica e spaventosa come quella di un'aggressione, tanto più se ambientata in un'area oscura come può essere un parco di notte, la reazione naturale di ognuno di noi è istintiva, primitiva e inevitabile: il cosiddetto "freezing", ovvero congelamento, una sorta di paralisi fisica e mentale».

Come un capriolo di fronte ai fari dell'auto?

«Esattamente».

E in quei casi qual è allora la risposta migliore?

«Quello che hanno fatto gli autori del video dell'omicidio, che peraltro mi sembra di aver capito sia un elemento fondamentale nell'inchiesta: chiamare le Forze dell'ordine, ovvero quelle persone che in virtù dell'addestramento ricevuto hanno imparato a inibire le reazioni istintive, e sanno operare anche in queste condizioni di stress e soprattutto mantengono chiaro qual è l'obiettivo del loro agire».

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