Lavoratrice sospesa, l'errore di valutazione del medico lo paga tutto l'azienda
La vicenda roveretana finisce alla sezione lavoro della corte d'appello di Trento, che ribadisce quanto stabilito nel precedente grado di giudizio: la dipendente ha diritto agli stipendi relativi ai due mesi in cui è stata costretta a stare ferma
ROVERETO. L'errore del medico non può ricadere sul lavoratore e quindi la dipendente ha diritto agli stipendi relativi ai due mesi in cui è stata costretta a non lavorare perché il medico l'aveva definita inabile alla sua mansione.
A dirlo (anzi, a ribadirlo) sono i giudici della corte d'appello di Trento, sezione lavoro, che hanno rigettato l'appello del datore di lavoro, stabilendo che «la sospensione disposta è stata illegittima visto che, a seguito del giudizio di revisione, la lavoratrice è stata in grado di riprendere l'attivitá e di svolgere le nuove mansioni seppur con limitazioni».
Alla stessa conclusione era giunto, poco più di un anno fa, il giudice roveretano Michele Cuccaro che si occupa di lavoro.
Per capire la vicenda è quindi necessario fare un passo indietro. Al centro del caso una donna assunta dalla Rekeep come addetta alle pulizie in ospedale. Dieci anni dopo la firma del contratto di lavoro a tempo indeterminato, la decisione del medico aziendale che la dichiara temporaneamente non idonea alla mansione specifica che le era stata affidata.
Una decisione che l'ha portata a due mesi di stop obbligato.
La donna, supportata dal sindacato, aveva impugnato la decisione alla commissione dell'Uopsal che ha confermato solo in parte la valutazione precedente. Quindi idonea al lavoro con diverse mansioni.
La vicenda era finita davanti al giudice del lavoro Cuccaro per l'aspetto economico, ossia per i due stipendi che la donna non aveva ricevuto a causa della valutazione medica. E che il giudice invece le ha riconosciuto. Non si tratta di una cifra enorme, ma importante comunque per la donna non solo per il suo conto corrente ma anche per il suo senso di giustizia.
Ma non è finita perché la Rekeep ha presentato appello chiedendo una riforma integrale della sentenza roveretana. La dipendente si è appoggiata ancora una volta all'avvocato Giovanni Guarini per la sua difesa e un'altra volta ha avuto soddisfazione. Il giudici dell'appello hanno infatti rigettato il ricorso e, facendo riferimento al verbale di conciliazione, hanno spiegato che «una rinuncia del lavoratore a suoi diritti deve sempre essere esplicita, chiara, consapevole, cosciente e non dar luogo ad equivoci: in assenza di tali requisiti, nessuna valida rinuncia può aver luogo».
E ancora: «La chiara consapevolezza ed il cosciente intento di abdicare alla retribuzione dei due mesi di assenza illegittimamente disposta dal datore di lavoro non è desumibile dal documento che non menziona alcuna pretesa economica e nemmeno fa richiamo alla assenza di quei due mesi cui è riferita la domanda della lavoratrice.
Non sarebbe stata legittima o comunque percorribile la strada alternativa di chiedere un periodo di malattia da parte della lavoratrice, come sostenuto nell'appello, in quanto questa situazione presuppone una inabilità totale al lavoro, situazione che invece non ricorre nella fattispecie, non presupponendo la sua patologia una impossibilità assoluta alla prestazione lavorativa».