Sul marciapiede tra clienti e illusioni
Parlano di amore e di bambini, raccontano di avere un fidanzato da qualche parte che le aspetta, accettano un tè caldo e qualche biscotto. Inventano i loro nomignoli, senza mai svelare il loro nome vero. Dicono, mentendo, di avere poco lavoro. Non sono felici. Sono le «prostitute», le ragazze sfruttate di tutte le nazionalità che anche in inverno lungo via Brennero a Trento, più o meno dalle dieci di sera fino all'una del mattino, vendono il loro corpo per le più svariate ragioni. Ci sono anche dei trans. Ognuna lavora su un preciso tratto di marciapiede, dove una piazzola costa fino a un centinaio di euro al mese, che sono pagati al proprio sfruttatore
Parlano di amore e di bambini, raccontano di avere un fidanzato da qualche parte che le aspetta, accettano un tè caldo e qualche biscotto. Inventano i loro nomignoli, senza mai svelare il loro nome vero. Dicono, mentendo, di avere poco lavoro. Non sono felici. Sono le «prostitute», le ragazze sfruttate di tutte le nazionalità che anche in inverno lungo via Brennero a Trento, più o meno dalle dieci di sera fino all'una del mattino, vendono il loro corpo per le più svariate ragioni. Ci sono anche dei trans. Ognuna lavora su un preciso tratto di marciapiede, dove una piazzola costa fino a un centinaio di euro al mese, che sono pagati al proprio sfruttatore.
Dal Pittarello al Top Center, sulla parte destra viaggiando verso nord e dietro in via Solteri, ci sono «le nigeriane», più avanti «le rumene», poi le altre dall'est Europa; sulla parte opposta, all'altezza del Brico, i trans colombiani e così via. Guai rubare lo spazio a un'altra: le regole in questo mondo sono sottili, non scritte, ma precise e condivise.
Via Brennero di notte non è pericolosa, se non per le stesse meretrici. I ragazzi dell'associazione L'AltraStrada la percorrono una volta alla settimana, per offrire delle bevande calde, qualche nocciolina e, soprattutto, una parola amica da parte di italiani che non siano i clienti che le usano in cambio di poche decine di euro o gli strozzini che le ricattano.
Propongono, questi volontari, una forma diversa di contatto umano e diffondono - quando accettate - informazioni sulle normative di tutela esistenti in Italia, quali l'articolo 18 della legge Turco-Napolitano (soggiorno per motivi di protezione sociale). La possibilità di avere un incontro genuino, lontano da interessi, e uno sguardo amico ha un valore grande per le persone che soffrono e, nella disperazione, magari non sanno quali scelte fare.
Con i volontari de L'AltraStrada abbiamo passato un'intera serata: prima alla riunione settimanale dell'associazione, che ha sede a Villa S.Ignazio, dove si tracciano i risultati delle precedenti uscite e si pianificano le prossime iniziative (tra cui incontri nelle scuole e proiezioni di film per la sensibilizzazione ai temi dell'immigrazione e della tratta delle donne) e poi in via Brennero.
Lo scorso giovedì sera non era una giornata particolarmente «affollata» (in estate, ci dicono, il fenomeno raggiunge livelli più che raddoppiati), ma di macchine fin oltre la mezzanotte ce n'erano diverse, con all'interno degli abitacoli volti sia giovani, sia anziani. I clienti: uomini di tutte le età ed estrazioni sociali. Alcuni transitavano, vagliando il mercato e curiosando, altri si fermavamo. I giorni più redditizi per le ragazze - ha raccontato una di loro - sono quelli attorno al 15 del mese, quando i clienti hanno ricevuto paga, ma non l'hanno ancora interamente spesa. Oggi si vergognano sempre meno di essere riconosciuti, tanto che, dicono i volontari, spesso gli uomini si fermano a chiedere il prezzo delle prestazioni anche in loro presenza.
L'AltraStrada si occupa in particolare delle ragazze provenienti dal Nigeria, ragazze che rispetto a quelle di altre nazionalità sono sfruttate in modo più subdolo: incredibile a dirsi, ma il ricattatore di queste africane è donna e viene soprannominata «maman». Prima di essere instradate in Italia, le ragazze vengono sottoposte in Nigeria a riti Vodoo, durante i quali vengono preannuncianti tragici avvenimenti se in Italia non si comporteranno bene. Dopodiché, accollando a ciascuna un debito fra i 30 e i 60 mila euro da restituire in tempi brevi, la «maman» le porta in Italia, ritira loro i documenti, le ospita in un'abitazione e le avvia all'unico mestiere che, da clandestine, potrebbero esercitare per riscattarsi. Il loro è uno sfruttamento psicologico, ma spesso la «maman» è vista dalle ragazze come una figura positiva, colei che permetterà in futuro di raggiungere il tanto sognato miglioramento sociale. La realtà ha invece dimostrato che, pagato il debito, il loro destino è quello di rientrare fra le tristi pieghe della clandestinità.
Le nigeriane di Trento hanno fra i 16 e i 25 anni, parlano inglese e più o meno bene l'italiano. Salgono ogni sera in treno da Verona, Brescia, Mantova e rientrano con l'ultima corsa notturna. Le «storiche» sono gentili quando approcciate dai volontari: abbracciano le donne, stringono la mano - più distaccate - agli uomini del gruppo e accettano il té caldo che viene loro offerto. Le «nuove» invece sono diffidenti, parlano pochissimo e con loro il lavoro di avvicinamento richiede pazienza e costanza. Le storie raccontate dai volontari de L'AltraStrada, che in questi anni hanno ascoltato e visto molto, sono a tratti terribili. Come il caso recente di una ragazza incinta, particolarmente richiesta dai clienti perversi, spinta a lavorare fino alle ultime settimane di gravidanza.
Molte di queste donne hanno dei figli, che accudiscono durante il giorno e dei quali mostrano talvolta le foto memorizzate nei loro cellulari. Hanno anche dei compagni, più o meno stabili, che non sempre vivono in Italia. A volte, dicono i volontari, si vede che non ce la fanno più. Lamentano mal di pancia, sono alienate come istinto di sopravvivenza alla realtà che hanno di fronte, quando dai loro la mano senti «lo schifo» che hanno addosso. Ci sono dei balordi che, passando lungo via Brennero in macchina, tirano loro dei sassi dai finestrini e ubriachi o psicolabili che le disturbano, ma dai quali fortunatamente, grazie al tam-tam di avvisi via cellulare, hanno ancora la forza di difendersi.
Devono stare al freddo, svestite. L'altra sera in via Brennero era più caldo del solito, ma dopo due ore passate a girare, noi che eravamo vestite di tutto punto siamo arrivate a casa congelate. Loro avevano addosso poco più di un piumino e di ore all'addiaccio ne avevano già trascorse molte di più.