Serve elezione diretta del Capo di Stato
La rielezione di Napolitano ha scatenato la rabbia di Grillo e dei 5Stelle. A parte la parodia della marcia su Roma (interrotta a metà perché il comico ha detto: «andate avanti voi, che mi vien da ridere»), e l'esilarante boutade sul «golpe» rivolta ad un'elezione democratica che ha visto presenti tutti gli eletti dal popolo italiano minacciando l'assalto alle istituzioni, mai come in questa elezione gli italiani hanno dimostrato di voler decidere in prima persona il Capo dello StatoI tuoi commenti
Non era mai successo nella storia della Repubblica italiana che un Presidente venisse rieletto per un secondo mandato con acclamazione quasi generale e trasversale. Non era mai successo che un uomo di 88 anni venisse supplicato di sacrificarsi e accettare l'elezione nonostante la sua contrarietà e non disponibilità.
Ma solo la figura di Giorgio Napolitano, l'unico fra tutti nelle istituzioni e nella politica italiana, era in grado di tenere unito il Paese e salvarlo dalla disgregazione dopo la dissoluzione dell'intera classe politica, in particolare il Pd, il partito di maggioranza. Solo la gravità del momento e l'eccezionalità della situazione di fronte alla Repubblica sospesa nel vuoto e alla paralisi delle istituzioni hanno convinto l'undicesimo Capo dello Stato a diventare anche il dodicesimo.
Così al termine di tre giorni fra i più drammatici della storia repubblicana, con 738 voti e l'appoggio di tutte le forze politiche tranne Grillo e Vendola, Napolitano è stato applaudito nuovo presidente, salvando il Paese dalla paralisi e garantendo a breve un governo in pieni poteri.
Proprio la straordinarietà dell'elezione fanno di Napolitano un presidente diverso dagli altri.
Un presidente con un mandato politico forte, diretto, di guida e indirizzo delle forze politiche e del Paese, come un super premier alla francese. Ma capace anche di aggredire e portare a risoluzione la paralizzante crisi istituzionale e politica che ha dissolto i partiti e svuotato di forze il sistema parlamentare.
Giorgio Napolitano non è la soluzione dei problemi. È la cura straordinaria per traghettare l'Italia oltre il vuoto politico-istituzionale attuale verso un nuovo equilibrio e una nuova stabilità democratica, così da far tornare a rifunzionare le ormai inceppate istituzioni italiane.
Giorgio Napolitano, quindi, è l'eccezione che dovrà portare dalla defunta repubblica partitico-parlamentare a qualcosa d'altro, non soltanto una nuova legge elettorale ma a questo punto un nuovo assetto istituzionale, come fece il generale Charles De Gaulle nella transizione del 1958 dalla Quarta alla Quinta Repubblica francese. Poi, fra uno due anni, il tempo che sarà necessario, Napolitano quasi certamente cederà la mano, non appena il sistema sarà ritornato a funzionare.
Sarà un governo del Presidente, votato dalle forze politiche che l'hanno rieletto, a tradurre il programma che i dieci saggi nominati hanno già preparato. Sarà un governo «di scopo», per realizzare quanto in vent'anni non è stato realizzato, in un clima di obbligata collaborazione perché nessuna forza politica oggi in Italia è in grado di governare. E nessuna elezione, alle attuali condizioni, riuscirebbe a sbloccare l'impasse.
La rielezione di Napolitano ha scatenato la rabbia di Grillo e dei 5Stelle, delle piazze convocate da internet e del popolo dei tweet, e di quanti puntavano a ribaltare il tavolo e scardinare l'intero sistema, nel caos che ne sarebbe derivato. A parte la parodia della marcia su Roma (interrotta a metà perché il comico ha detto: «andate avanti voi, che mi vien da ridere»), e l'esilarante boutade sul «golpe» rivolta ad un'elezione democratica che ha visto presenti tutti gli eletti dal popolo italiano minacciando l'assalto (questo sì golpista) alle istituzioni, mai come in questa elezione gli italiani hanno dimostrato di voler decidere in prima persona il Capo dello Stato. Mai l'opinione pubblica si era accalorata così tanto per scegliere un nuovo presidente. Mai le pressioni sui grandi elettori sono state così incalzanti e inibenti. Mai folle e capanelli si erano riuniti fuori da Montecitorio per condizionare la scelta del nuovo inquilino del Colle.
Se devono essere gli italiani e non più i partiti a decidere il Presidente, allora non può essere lasciato a twitter e ai gruppi web organizzati. E nemmeno alle quirinarie caserecce di qualche sito, più o meno controllato. Se sono i cittadini a dover dire chi è il Presidente, allora lo si faccia veramente, in maniera democratica, in modo diretto. Con una chiamata al voto popolare. Perché non siano le piazze, anche quelle telematiche, a imporre sull'onda della moda e dell'emozione, il candidato più improbabile, quasi si trattasse del televoto di Sanremo.
Democrazia è una cosa seria, anche nel voto. E coinvolge tutti i cittadini, non solo gli smartphone-dotati. Non può essere sostituita da un clic del mouse o da un cinguettante e disinvolto tweet.
p.giovanetti@ladige.it
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