Chiusa una chat degli studenti delle medie «Manzoni» di Trento per frasi volgari, violente e razziste
In poche ore una chat di WhatsApp tra ragazzini si è trasformata in un vero e proprio ricettacolo di contenuti volgari, violenti, razzisti, sconvenienti. Tanto da spingere i responsabili dell’istituto a informare le famiglie e contattare la polizia postale.
Quella che arriva dalle medie Manzoni di Trento è purtroppo una vicenda che sempre più spesso si sta riproponendo ad ogni latitudine - è delle scorse ore l’analogo caso scoperto in un istituto dell’hinterland milanese - e riguarda il delicato e non sempre facile rapporto tra giovanissimi e corretto, consapevole utilizzo degli smartphone e del mondo dei social.
Almeno però, in questo caso un episodio grave è sfociato in qualche cosa di positivo: grazie all’attenzione di docenti e personale della scuola, oltre che di alcuni dei familiari dei ragazzi, accortisi in fretta di quello che stava accadendo, i contenuti della chat sono venuti alla luce e hanno rappresentato l’occasione non solo per arginare il tutto in tempi rapidi, ma soprattutto per promuovere una riflessione collettiva su una questione sempre più attuale.
In tutte le aule dell’istituto secondario di primo grado di corso Buonarroti, la dirigente dell’istituto comprensivo Trento 6 Paola Pasqualin ha fatto apporre il “Manifesto della comunicazione non ostile”, il decalogo nato un paio d’anni fa come progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole, che ricorda a tutti come la portata di ciò che si esprime in campo virtuale sia reale, come le parole abbiano conseguenze e come insulti ed aggressività non siano argomenti in una discussione. Un manifesto che sarebbe sempre bene per tutti, non solo per i ragazzi, tenere bene a mente.
Il documento, assieme alle comunicazioni puntuale sull’accaduto, è stato inoltrato a tutte le famiglie dei ragazzi anche tramite registro elettronico. La dirigente ha poi incontrato tutti i ragazzi delle classi prime per parlare del delicato argomento e cercare di comprendere le dinamiche dell’accaduto.
Tutto si è sviluppato molto rapidamente: la creazione della chat risale infatti all’inizio della settimana. Molto probabilmente il gruppo, battezzato “Manzoni school” con tanto di foto della facciata della scuola, era stato creato da alcuni dei ragazzini - quasi tutti appartenenti alle classi prime, tredicenni e quattordicenni - con le migliori intenzioni, dato che nella descrizione si parlava di uno strumento per condividere esperienze, rimanere in contatto e si invitava ad evitare toni volgari o aggressivi.
Nel giro di poche ore, tuttavia, attraverso un’opera di introduzione incontrollata di partecipanti (resa possibile dal fatto che quasi tutti i componenti erano pressoché immediatamente dotati dello status di amministratore, potendo così invitare a loro volta altri ragazzi) il gruppo era arrivato a contare centinaia di componenti, studenti delle Manzoni e non solo.
Quel che è peggio è che i contenuti hanno iniziato ad assumere toni e caratteristiche che i docenti che si sono occupati della questione - potendo prendere visione delle conversazioni non hanno esitato a definire inquietanti e pesanti, molto pesanti.
Da espliciti richiami sessuali a meme (fotografie ritoccate solitamente per lanciare messaggi ironici) con protagonista Hitler e messaggi a sfondo razzista, fino a semplici volgarità e messaggi genericamente violenti.
Anche per questo l’istituto ha subito contattato anche la polizia postale, non tanto per promuovere denunce ma per informare i dirigenti del compartimento trentino e chiedere loro supporto. Gli agenti della postale trentina da anni sono impegnati in prima linea nella promozione di un utilizzo consapevole di smartphone e social network e tra le fila del quale vi sono veri e propri esperti della collaborazione dei quali la scuola trentina si avvale costantemente.
Anche le famiglie dei ragazzini sono state puntualmente informate, anche per far sì che proprio in famiglia prosegua, o inizi, quel percorso di sensibilizzazione al corretto uso degli strumenti informatici - e più in generale di consapevolezza dell’importanza dell’educazione - che la scuola può (o meglio, dovrebbe) solo accompagnare.