La testimonianza di un ex detenuto risarcito dal Ministero: «A Spini un trattamento inumano»
Violate le condizioni sancite dall’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: il Ministero della giustizia è stato condannato a risarcire il 53enne di 8.400 euro per ingiusta detenzione. Il racconto nella copiosa memoria presentata al giudice è da brividi
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TRENTO. Ha trascorso 1.050 giorni in cella: 2-3 metri quadri di spazio vitale, poche ore d'aria al giorno e nessuna privacy per il bagno. Condizioni in violazione del principio sancito dall'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che proibisce la tortura e il trattamento disumano o degradante: per questo motivo il Ministero della giustizia è stato condannato a pagare all'ex detenuto 8.400 euro per risarcimento danno per ingiusta detenzione.
Ha 53 anni, di cui quasi tre passati nella casa circondariale di Spini di Gardolo, il trentino che, assistito dall'avvocato Nicola Degaudenz, ha presentato e vinto il ricorso contro il Ministero. Il racconto dettagliato delle condizioni in cui era costretto a vivere - nel pur sempre "nuovo" carcere di Trento (venne inaugurato il 31 gennaio 2011) - sono da brividi: a partire dalla ristrettezza degli spazi in cui trascorrere le giornate, passando per la presenza di formiche e per il sistema di riscaldamento non adeguato (un solo ingombrante termosifone e numerosi spifferi), senza contare le poche "ore d'aria".
Il detenuto ha presentato una corposa memoria. Ha descritto celle di 9 metri quadri calpestabili, esclusi bagno e due ante dell'armadio fissate al muro: contando che la capienza è di tre persone, ogni detenuto aveva meno di 2 metri a disposizione. La cella più grande era di 10 metri quadri, ma erano in quattro a spartirsi lo spazio. Senza dimenticare che c'è il mobilio ad ingombrare le stanze (letti, tavoli e sgabelli) e che manca una separazione con il bagno: passi per il lavandino, ma l'utilizzo del bidet e della doccia rischiava di essere "a vista".
Poche, talvolta pochissime, sono state le ore trascorse fuori dalla cella: tre al giorno per lavorare, le altre 5 a disposizione nei corridoi o in una "sala socialità" che per il detenuto rappresentava un rischio perché senza telecamere. Dopo la rivolta del 22 dicembre 2018 ( oltre 200 dei 334 detenuti si erano barricati nelle celle e nei corridoi per protesta) il trentino aveva vissuto rinchiuso 24 ore su 24 per un paio di settimane.
Anche durante la fase critica del Covid, nel 2020, non vennero concesse ore d'aria per diversi giorni. Il Ministero della giustizia si è costituito in giudizio, chiedendo tra l'altro un credito di 3.350 euro per le spese di mantenimento in carcere. La giudice Claudia Pedergnana ha esaminato le memorie, la planimetria delle camere detentive in cui aveva vissuto l'uomo che ha fatto causa al Ministero.
Nella sentenza ha ricordato i princìpi della Corte di giustizia europea riguardo al trattamento penitenziario, chiarendo che al detenuto devono essere assicurate condizioni compatibili con il rispetto della sua dignità, che non deve essere sottoposto a privazioni eccessive «derivanti da pratiche di reclusione che minano, ingiustificatamente, il suo stato psichico e/o fisico».
Avere a disposizione uno spazio vitale inferiore a tre metri può essere considerato un trattamento inumano, mentre se si tratta di 3 o 4 metri vengono valutati anche altri aspetti della condizione detentiva. La giudice Pedergnana ha rilevato che l'ex detenuto «abbia credibilmente descritto le condizioni di restrizione, confermando, all'esito, la sussistenza del trattamento inumano, poiché non conforme ai canoni» della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Al trentino sono stati riconosciuti 8 euro per ciascuna giornata passata in cella, per un importo pari a 8.400 euro per ingiusta detenzione.