Bicipolitana, Trento si è messa nella scia di Pesaro dove i percorsi protetti aumentano
Parla il sindaco della seconda città delle Marche, Matteo Ricci (Pd): «La rete continua a crescere da 12 anni e dove non c’è sono i cittadini a chiederla. Le zone della città dove ancora devono arrivare i tracciati vengono altrimenti considerati quartieri di serie B dai residenti»
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TRENTO. Ha 100.000 abitanti, è una città del basket, si è candidata a capitale della Cultura (riuscendoci, l’anno prossimo, a differenza del tentativo del capoluogo nel 2018). Ma ad unire Pesaro e Trento c’è anche altro. L’amministrazione comunale guidata da Franco Ianeselli ha infatti scelto di mutuare dal centro marchigiano anche il nome della sua rete di piste ciclabili.
Quella “Bicipolitana” che ha fatto un po’ sorridere per il nome sia ambizioso che un po’ bizzarro e affascinante (“catchy” direbbe in inglese chi lavora nel marketing) è nata infatti in Italia in riva all’Adriatico, dodici anni fa.
«Il nome l’avevo proposto io, ma tranquilli non chiederò i diritti», scherza il sindaco della seconda città delle Marche, dopo Ancona, Matteo Ricci.
«Anzi - prosegue - per noi è un vanto esportare un modello. E Trento non è la prima città che ci prende ad esempio. La circolazione di buone idee e buone pratiche tra amministrazioni è una ricchezza».
C’è chi è scettico, a Trento, sulla bontà dell’idea: meno parcheggi, tratti discontinui. A Pesaro come andó? E come va?
«Partiamo dal come andò, con le perplessità che sono sempre le stesse e lo capisco. Quando partimmo qui era uguale eh. C’era chi ci criticava, chi ci diceva di pensare alle buche sulle strade, prima che a questa cosa strana».
Bene ma non benissimo.
«Ora invece è diverso. La rete continua a crescere e dove non c’è ancora la Bicipolitana sono i cittadini a chiederla. Le zone della città dove ancora devono arrivare i tracciati vengono altrimenti considerati quartieri di serie B dai residenti».
Trento però non è Pesaro.
«Se parla delle caratteristiche geografiche anche noi abbiamo i nostri dislivelli ma, nel 2023, con la diffusione delle ebike, penso che quella delle salite sia solo un’iniezione di chi non vuole puntare su forme di mobilità alternativa. Anche perché va da sé che è essenzialmente per decongestionare i centri urbani che serve la ciclabilità. Le obiezioni ci saranno sempre ovunque come ci sono state qui. Ma la perseveranza paga. Noi oggi siamo città della bicicletta e il fatto che il nostro modello venga preso ad esempio da anni da tante realtà parla da solo».
Ma come era nata l’idea?
«Non ero ancora sindaco, all’epoca ero assessore: era la metà degli anni Duemila ed ero segretario cittadino degli allora Ds…»
Ds: politicamente sembra di parlare di un’era geologica fa, scusi l’inciso.
«Vero, ma questa è solo la conferma del fatto che nell’amministrare un territorio sono le idee che contano e guardando a quelle la continuità c’è. Dicevo, ero appena tornato da un viaggio a Berlino con in tasca la mappa dell’U-Bahn, la metropolitana. E dissi: dobbiamo farla anche qui. Non la metropolitana, ma con le bici. Subito mi presero per matto ma il progetto partì. E parlano i numeri: nel 2005 avevamo meno di 25 ciclabili, ora ne abbiamo un centinaio. Con undici percorsi differenti, che è un po’ il plus del progetto».
Ovvero?
«Nelle città si è sempre pensato alle ciclabili come percorsi protetti per i ciclisti ma senza un vero e proprio disegno organico e armonico. Con la Bicipolitana, proprio come con le metropolitane, i percorsi uniscono determinati punti, come le stazioni delle metro».
Pesaro è anche città turistica. Funziona anche in quel senso la Bicipolitana?
«Grazie al progetto abbiamo potuto spendere nell’offerta turistica anche la nostra attenzione alla mobilità sostenibile e ora al turista che arriva in città la mappa della Bicipolitana è tra le prime cose che viene consegnata negli alberghi, in Apt. Ma il bello è che spesso sono proprio i turisti a chiederla. Al di là di questo abbiamo una rete che è una ricchezza per tutti, soprattutto i residenti. Oggi le statistiche dicono che un pesarese su tre si sposta in bicicletta in città».
Un risultato ottenuto anche con infrastrutture complementari? Parcheggi di attestamento, altre misure?
«Certo, le piste ciclabili da sole non servono per cambiare il modo di muoversi. Ma sono l’ossatura di un sistema nuovo che si forma col tempo a partire dalla mentalità. Quindi a chi sta lavorando alla Bicipolitana a Trento dico; non abbiate fretta, non fatevi frenare da critiche e perplessità e lavorate per cambiare la mobilità a 360 gradi, attorno alla bicicletta. Poi i risultati verranno».