Ala, i frati dicono addio con l'ultima messa
Da un anno non ci sono più ma l'addio ufficiale, dopo 400 anni di storia e vita a nel centro storico della città dei velluti, i frati cappuccini ieri hanno salutato la comunità alense consegnando il convento di piazza San Giovani XXIII al decano don Gianpietro Baldo.
Si chiude così un capitolo fondamentale, una lunghissima parentesi di spiritualità ma anche di attività concreta che lascia una profonda tristezza nell'enorme folla che ha gremito la chiesa. Perché quella di ieri mattina, come detto, è stata l'ultima messa. E sull'altare, a concelebrare assieme al parroco e al vicario, c'erano gli ultimi cinque confratelli, commossi pure loro. In verità già dallo scorso anno i frati avevano lasciato Ala per Rovereto. Ma la domenica scendevano per la messa. Ora non lo faranno più.
«La cosa importante è che comunque il convento non chiuderà, rimarrà aperto ospitando la canonica, il decano e i preti di Ala», ricorda il sindaco Claudio Soini. Insomma, non è una porta che sarà sbarrata da un lucchetto indistruttibile ma che resterà ancora socchiusa per consentire a chiunque di entrare e ricevere una parola di conforto.
«Certo che la consegna ufficiale del convento dai frati cappuccini alla parrocchia è un aspetto importante ma quest'ultima messa ha comunque portato una velo di tristezza per la storia e il simbolo che il convento rappresenta da quattro secoli per Ala. Però il passaggio di consegne consentirà di continuare a vedere questo luogo come luogo di incontro. Qui, infatti, rimangono l'asilo nido e si trasferirà la canonica. Da parte mia, a nome della comunità alense, ringrazio con tutto il cuore i padri cappuccini; ripeto, è un momento triste per noi perché un pezzettino di cuore va via assieme ai nostri cappuccini. Ma ci tengo ad augurare ogni bene e buon lavoro al parroco che prende in consegna un'eredità pesante».
Commozione ed emozione, inevitabilmente, tra i tanti cittadini che hanno riempito la chiesa per l'ultimo saluto ai «nostri frati».
I cappuccini di Ala, d'altro canto, sono stati il quarto insediamento dopo Arco, Rovereto e Trento e sono sempre stati visti da tutti come parte integrante della città. Già dopo la prima comparsa dei frati, profughi dal Veneto nel 1606, la comunità si era attivata per trattenere i religiosi. E il 26 luglio 1606 il consiglio plenario di Ala aveva deliberato di costruire a proprie spese una chiesa ed un convento per i padri. La posa della prima pietra è datata 17 aprile 1608; il 25 ottobre 1610 fu dato ai cappuccini il possesso del convento e la terza domenica di ottobre del 1614 la chiesa fu solennemente consacrata. Quasi due secoli dopo, nel 1782, ci fu la visita al convento di papa Pio VI di ritorno da Vienna e diretto in Vaticano. Poi arrivarono le truppe francesi e il convento fu evacuato.
Il secolo breve, infine, ci ha messo del suo, portando due guerre mondiali e distruggendo il compendio.
Il resto è storia recente ma non meno importate. Negli ultimi anni, infatti, la presenza discreta e preziosa si è concentrata nell'aiuto ai più deboli. E i nomi di questi amici della città sono rimasti indelebili nella memoria collettiva: padre Vito e con lui padre Feliciano, padre Floriano, padre Mauro, padre Leone, padre Paolo, padre Eugenio e frate Silvio, figura ricordata per la sconfinata disponibilità e gentilezza. E questi sono solo gli ultimi dei tanti fratelli in saio che negli anni si sono susseguiti nel convento di piazza San Giovanni.
Il resto, purtroppo, rispecchia il segno dei tempi moderni: crisi di vocazioni, allontanamento dall'attività spirituale della Chiesa. E i conventi, di conseguenza, si svuotano.
«Per Ala la perdita dei frati è come la perdita di una persona cara», ripetevano in molti ieri mattina. Ma la diocesi, per fortuna, ha deciso di non abbandonare un patrimonio storico, culturale e sociale come il convento trasferendoci la parrocchia e la canonica.
Il convento, insomma, rimarrà alla comunità e sarà ancora il centro della Chiesa alense. Qui, in fin dei conti, hanno sempre bussato in molti. E chi non rammenta quando al toc toc sul portne apriva frate Silvio che abbandonava celermente le sue mansioni nell'orto o in sacrestia e correva a spalancare l'uscio: chiunque avesse deciso di fare visita ai Cappuccini veniva accolto come un ospite d'onore e trovava in padre Vito, padre Feliciano e padre Floriano persone inclini ad ascoltare e aiutare. Modi di fare semplici e cuore generoso: con queste doti, nei decenni è, la fraternità ha guadagnato l'affetto e la stima degli alensi. Adesso a rispondere al campanello dell'edificio di piazza San Giovanni che suona non sarà più una faccia amica con barba d'ordinanza che illumina un saio e rievoca immagini francescane ma un'altra faccia amica che aprirà la porta con lo stesso entusiasmo. In fin dei conti, lo insegna il vecchio adagio, l'abito non fa il monaco.