I crauti "bio" non erano ancora "bio": a processo il Consorzio Val di Gresta
Una frode, secondo la procura, finalizzata all’aumento della quantità di crauti biologici da mettere sul mercato. Un banale errore, secondo le difese, che ha portato a mettere assieme ortaggi biologici, con ortaggi nel periodo di conversione. Ma un errore che è costato piuttosto caro al Consorzio ortofrutticolo Val di Gresta: la cooperativa ha patteggiato una pena pecuniaria di 10 mila euro, il suo direttore ha concordato con la procura la pena di 6 mesi. Solo la presidente del consorzio Vanda Rosà ha deciso di andare al processo, evidenziando il suo essere completamente all’oscuro di qualsiasi cosa fosse accaduta.
La vicenda risale al marzo 2018. All’epoca la notizia fu dirompente: era stati sequestrati un tot di crauti grestani ed era stata avviata un’indagine sulla gestione degli ortaggi. Gli accertamenti avrebbero portato gli inquirenti a parlare di irregolarità nella commercializzazione dei prodotti biologici. Da qui il titolo di reato, di quelli pesanti: frode in commercio.
Per capire, serve precisare le regole circa il biologico. Naturalmente, per essere definito biologico, un prodotto deve essere coltivato rispettando alla lettera disciplinari particolarmente rigidi. E in Val di Gresta lo sanno bene: della genuinità, del prodotto bio e della territorialità hanno fatto un marchio di fabbrica. Solo che il confine tra bio e non bio è tanto rigido quanto definito da regole precise. Per esempio - e per entrare nel caso in questione - un campo o un’azienda agricola non può passare da non biologica a biologica in un battito di ciglia. Perché le cose si fanno seriamente. Quindi un campo, da quando l’agricoltore smette di utilizzare prodotti non conformi al disciplinare può ovviamene produrre, ma gli ortaggi non sono considerati biologici, perché la terra mantiene dei residui. Quindi è necessario aspettare due anni. Tecnicamente, in questo periodo di tempo il campo è «in conversione». Quindi niente etichetta bio, nonostante le modalità di coltivazione siano già secondo il disciplinare. Ciò allo scopo di garantire, naturalmente, il consumatore finale: quel che compra non ha residui di pesticidi o prodotti chimici.
Bene, quel che è contestato al consorzio, è di aver contaminato la produzione: dei 40 mila chili di crauti biologici venuti nel 2017, 9 mila sarebbero arrivati da un campo in conversione, appunto. Da qui l’accusa di aver violato le norme.
nei guai sono finit il direttore del consorzio, la presidente e il consorzio stesso, per la norma sulla responsabilità penale delle persone giuridiche. Il direttore, assistito dagli avvocati Daniela Conzatti e Rolando Landucci, ha scelto di patteggiare: 6 mesi sospesi. A quel punto pressoché obbligato il patteggiamento anche del Consorzio (avvocato Sara Pinamonti), che pagherà una multa di 10 mila euro. La presidente Vanda Rosà, invece, insiste: non ne sapeva nulla. Preferisce il processo.