Folgaria / L’attacco

Ennesimo raid dei lupi: in una notte sbranati sette capi

Il pastore Gianluca Carbonari: «Crescita esponenziale dei predatori, così non si può continuare

FOLGARIA. «Il nostro è un lavoro che si fa per passione, per amore verso i propri animali. A me non interessa il rimborso della Provincia, quando vedi un tuo animale divorato dai lupi è come un colpo al cuore». Così il pastore Gianluca Carbonari, 32 anni, racconta all’Adige dell’ultimo attacco del lupo al suo gregge, sui prati dell’Alpe cimbra, che è costato la perdita di cinque agnelli e due pecore adulte. Una condizione, quella dei raid dei predatori, che sta sempre più minando alla base l’attività pastorale.

Carbonari, che da sei anni porta i suoi greggi sull’altopiano cimbro, per poi transumare in tardo autunno verso le pianure vicentine e padovane, si dice oggi sfiduciato e deluso. «Le nostre pecore - spiega - sono sempre state recintate, ma i lupi utilizzano una tecnica d’attacco che suscita e crea paura nel branco, finché le pecore stesse non divelgono la recinzione per fuggire. È stata una carneficina, viene la voglia di smettere. Non si può continuare questo lavoro alzandosi ogni notte per controllare se arrivano i lupi. I predatori dovrebbero essere limitati nel numero, invece assistiamo ad una crescita esponenziale. Oltretutto, e questo è il mio caso, arrivano vicino alle abitazioni e diventano pericolosi».

«Un mio collega sull’altopiano di Asiago a Tresche Conca ha perso quest’anno, a causa dei lupi, 45 pecore. Un danno enorme» sottolinea. I lupi visti nella zona Elbele di Carbonare e zona depuratore sono tre, ma c’è anche da tempo un lupo solitario che copre l’area più in alto, verso Morganti. Recentemente abbiamo anche scritto di un branco di lupi, cinque per l’esattezza, responsabili di alcune predazioni a malga Melegna, dove addirittura hanno ucciso un cane pastore maremmano. Un altro branco di predatori è registrato sulle alture di passo Vezzena, dove si trovano molti animali in alpeggio. La passione di Carbonari per il lavoro di pastore arriva da lontano. Suo nonno Olivo era un allevatore molto conosciuto, ed il padre Giancarlo anche.

«È una tradizione di famiglia - sottolinea -, una passione che ti porti dentro ed alberga in te. Sono legato ad ogni mia pecora, soprattutto agli agnellini che incominciano una nuova vita, e crescono nel mio gregge con tenerezza e mille attenzioni. Conosco una ad una le mie pecore, è come se tra me e loro ci fosse un filo conduttore, una specie di tacito accordo di complicità. Vederle morire in modo così violento mi turba e riempie di rabbia. Ci dovrebbe essere maggior controllo, da poter permettere ai contadini ed ai pastori di svolgere il proprio lavoro con tranquillità. Ho sentito tanti miei colleghi, anche loro sono sfiduciati» riporta Gianluca, che possiede un gregge di circa un migliaio di pecore.

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