Edifici dismessi, l’esempio virtuoso di «Centrale Fies»: la seconda vita artistica della struttura
Il presidente Dino Sommadossi: «Alle Marocche di Dro si è pensato a lungo termine». La centrale è il primo esempio italiano di rigenerazione di archeologia industriale a fini artistico-culturali
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VALLE LAGHI. Primo esempio italiano di rigenerazione industriale a fini artistici, il progetto culturale «Centrale Fies» ha sede e anima nella centrale idroelettrica che sorge tra il fiume Sarca e le Marocche, cuore della Valle dei Laghi e porta d'ingresso dell'Alto Garda. Costruito nel 1911 durante la dominazione asburgica, l'edificio è ora di proprietà di Hydro Dolomiti Energia e, pur in parte ancora attiva, ospita da anni generazioni di artisti, curatori e professionisti quale centro di ricerca per le pratiche performative di arte contemporanea e di residenza per il lavoro tecnico e il consolidamento dei singoli progetti.
Le modalità di restauro, che hanno valorizzato la struttura originale grazie alla mano dell'architetto Sergio Dellanna, le hanno permesso di divenire uno degli esempi più virtuosi del riuso di archeologie industriali per eventi culturali. Sviluppo e concretizzazione di tale idea progettuale sono il frutto della dedizione della cooperativa «Il Gaviale» di Dro che, nel 1999, ottenne da Enel il permesso di organizzare il festival «Drodesera» (nato nel 1980) grazie al contratto di comodato d'uso dell'immobile. «Centrale Fies», che poggia sui contributi privati e pubblici, è capofila di «Passo Nord», il centro regionale di residenza del Trentino Alto Adige.
«Tutto ebbe inizio perché "Drodesera" sentì l'esigenza di avere degli spazi teatrali - racconta Dino Sommadossi, presidente di Centrale Fies - cominciammo ad utilizzare il territorio urbano come piazze, quartieri, case abbandonate, ruderi e tutte le aree ove fare performance dall'aspetto irripetibile. Il cortile Benuzzi, rimasto senza divisione tra eredi, si trovava all'interno di una vecchia casa contadina e divenne per anni, con l'accordo delle proprietarie, il nostro palcoscenico in mezzo al paese».
«Ricordo l'armonia tra compagnie impegnate nelle prove e cittadini - sottolinea - arrivò la richiesta di una compagnia per una residenza di un mese, cosa che avrebbe senz'altro rotto l'equilibrio con la comunità dato il bisogno di provare la sera. Barbara Boninsegna (attuale direttrice artistica, ndr) ebbe la genialità di pensare alla centrale idroelettrica, chiusa dagli anni Sessanta a fronte dell'edificazione di quella torbolana e il conseguente depotenziamento».
Funzionava in minima parte, era per lo più magazzino di scarsa qualità. Era il 1992-93 quando la proposta di utilizzare il grande spazio esterno quale laboratorio mensile per le compagnie arrivò sul tavolo di Enel e della Provincia di Trento. «Impensabile al tempo entrare in struttura - sottolinea Sommadossi - utilizzammo quello spazio alternandolo ad altre location urbane territoriali. Un giorno accadde l'impensabile: un bambino, in passeggiata con gli amici, cadde in una delle vasche ed affogò con l'amico, buttatosi in acqua per salvarlo. In un batter d'occhio la centrale tornò ad essere abbandonata a se stessa per otto anni. Ogni volta in cui si finiva di fronte, il nostro pensiero era rivolto a quell'enorme potenziale lasciato lì. Ecco la nuova fiamma, il nuovo sogno: ci abbiamo creduto».
In quel periodo, c'era in ballo la provincializzazione delle centrali elettriche, una vera e propria battaglia economica e politica sull'uso di tali strutture. «Ci sarebbe piaciuto, come presentato, rigenerare la centrale e il parco per accogliere non solo la parte artistica ma anche un'ala museale dedicata alla storia delle centrali idroelettriche del Trentino, ma non ottenemmo alcun finanziamento - continua il presidente - arrivò il 2000 e, con esso, i nuovi regolamenti europei sull'energia elettrica, tali da soffiare il monopolio ad Enel in favore di altri soggetti. Il cambio attitudinale si evinse dall'apertura mentale verso gli spettacoli attuati per la prima volta nei locali delle centrali. Ripresentammo al nostro obiettivo in quel mutato contesto e finalmente vedemmo uno spiraglio».
«La quotidianità di quegli anni - continua Sommadossi - era ricevere un pezzo di struttura alla volta, di pari passo ai nuovi accordi burocratici e alla nascita di Hydro Dolomiti Energia. Non crediate sia stato semplice, economicamente parlando: i conti in tasca, i calcoli tra una produzione e l'altra, gli allestimenti e i nuovi permessi per le attività non furono una passeggiata. Investire a lungo termine però ci ha premiati, oggi siamo una delle realtà più ricercate a livello internazionale, cosa che dobbiamo alla coscienziosità con cui avviammo i primi interventi, in linea con la rigenerazione della centrale. Prima era inabitabile, un ammasso di ferraglia, priva di servizi sanitari e corrente. Chi li scorda i 60 mila euro di mutuo per realizzare i bagni! Risultare in possesso dei requisiti richiesti dalla Provincia e avere vent'anni di comodato ci permise di spostare nella centrale tutto quello che avevamo in programma».
I lavori più incisivi vennero messi in campo nel 2010, grazie ai primi finanziamenti provinciali che permisero di completare tre quarti di rigenerazione. Oggi «Centrale Fies» accoglie professionisti da tutto il mondo: lo scorso luglio ha garantito 80 spettacoli in sei giorni.
«La centrale è un progetto in corso d'opera - conclude Dino Sommadossi, che passa le giornate in sede essendo in pensione (lavorava come bibliotecario a Dro) - capace di unire le Accademie al femminismo trasversale, gli spettacoli alle residenze, i bandi alle mostre. Se mi guardo indietro vedo una resistenza intellettuale, nata per tutelare le speculazioni edilizie alle Marocche, che ha salvato anche Fies dalla prospettiva di divenire sede di un'area golf. Siamo orgogliosi di aver mantenuto un festival per 42 anni ed esserci aperti a nuovi progetti all'interno di una struttura così ricca di storia, arte e respiro».