Un anno fa a Pergine l'omicidio di Carmela Morlino
È passato un anno da quando, il 12 marzo 2015, Carmela Morlino, a Zivignago di Pergine, fu uccisa dal marito, Marco Quarta
È passato un anno da quando, il 12 marzo 2015, Carmela Morlino, a Zivignago di Pergine, fu uccisa dal marito, Marco Quarta, poi condannato a 30 anni di reclusione lo scorso novembre.
Il 12 marzo 2015 l’uomo uccise con 15 coltellate, davanti ai figli terrorizzati, la povera Carmela, nella loro abitazione di Zivignago.
Dopo l’omicidio, Quarta riuscì a fuggire per oltre una settimana, braccato dalle forze del’ordine, fu arrestato nel parcheggio di un centro comemrciale a Rovigo.
Carmela Morlino aveva rotto il silenzio che spesso accompagna le violenze tra le mura domestiche, trovando il coraggio di denunciare il marito.
Lo aveva fatto soprattutto per i suoi bambini, perché temeva che le farneticanti parole del marito - «li ammazzo e mi uccido» - diventassero realtà. E perché era stanca di assistere ai modi con cui l’uomo trattava i figli, incitandoli all’aggressività.
Per questo, in agosto, aveva deciso di bussare alla porta del Centro antiviolenza e del tribunale. Dopo la denuncia per maltrattamenti presentata in agosto, la macchina della giustizia - con Tribunale dei minori e Tribunale ordinario - si era mossa in modo celere: «La risposta è stata rapida», sottolinea il procuratore capo Giuseppe Amato.
Ma era scattata anche una rete di protezione, con il coinvolgimento di assistenti sociali della Comunità di valle dell’Alta Valsugana, psicologi dell’Azienda sanitaria e scuola. Un’azione congiunta, per proteggere la donna e i bambini.
Già l’8 settembre Quarta era stato raggiunto da un provvedimento di allontanamento dalla casa familiare.
Il mese successivo, a fronte di quattro violazioni, il giudice Carlo Ancona aveva inasprito la misura e disposto gli arresti domiciliari per il 39enne, nella casa di Sant’Orsola. Marco Quarta, infatti, aveva avvicinato più volte la moglie, cercando perfino di bloccarla con la macchina. In una circostanza, inoltre, si era rivolto ai bambini, che erano con il nonno, con la promessa che sarebbe andato a prenderli.
Gli arresti domiciliari - che Quarta ha rispettato - sono rimasti validi fino al 12 febbraio 2015 quando, in occasione dell’udienza preliminare, il giudice ha ridotto la misura e disposto un divieto di avvicinamento a moglie e figli.
Una modifica del provvedimento restrittivo emessa a fronte del percorso di consapevolezza avviato dall’uomo, seguito da uno psichiatra, anche per consentirgli di recarsi al lavoro a Trento, nell’agenzia immobiliare, dalle 13 alle 20.
Ma c’è anche un ammonimento del questore che vieta l’avvicinamento dell’uomo a moglie e figli.
Il procedimento penale si sarebbe chiuso il 22 aprile, data in cui era stata aggiornata l’udienza: in quella sede, quasi certamente, Quarta avrebbe patteggiato. Ma l’epilogo, purtroppo, è stato drammaticamente diverso.
Il procuratore capo Amato, però, si dice certo che gli interventi messi in campo siano stati idonei quanto tempestivi: «La misura a mio avviso è stata applicata in modo idoneo, pertinente e rapido». Eppure c’è chi si chiede perché Quarta non fosse in carcere.
Ma Amato chiarisce: «Con il senno di poi si può dire qualsiasi cosa. Ma l’aspetto serio da porre in evidenza è che, appena ricevuta la denuncia, il pm ha subito chiesto la misura, questa è stata immediatamente applicata e quando lui l’ha violata sono scattati gli arresti domiciliari. Solo nella fase di definizione del processo, a fronte di questa rete di assistenza, sia privata (l’uomo era in cura da uno psichiatra) che dei servizi, è stata attestata una condizione che consentiva di ridurre la misura».
Tanto più, sottolinea, che si trattava di un caso di maltrattamenti psicologici. «E questo dimostra la bontà di questa soluzione, perché non parliamo di una persona che aveva manifestato una condotta violenta dal punto di vista fisico. Apprezzo dunque ancora di più l’intenzione di adottare delle misure anche in questo caso. Qui non si è sottovalutata la situazione».
Marco Quarta non avrebbe mai alzato le mani contro la donna ed i figli. O, almeno, non ci sono carte che lo testimonierebbero. Nessuna violenza fisica ma tante, troppe vessazioni psicologiche.
La donna aveva manifestato la volontà di superare, assieme al marito, il periodo critico. Prima di denunciarlo gli aveva proposto di affrontare un percorso insieme.
Voleva che smettesse di tormentare i figli con le sue regole educative: dai continui pizzicotti al figlio maggiore affinché reagisse ed imparasse a difendersi («Dovete essere forti» diceva ai bambini) alle minacce di fare loro del male se non ubbidivano («Se non fate così, vi ammazzo» le frasi che la moglie diceva di sentire).
I bambini ad un certo punto avevano iniziato ad avere paura del papà. Anche la donna temeva per loro.
L’ultima minaccia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: «Se mi lasci, prendo i bambini e mi butto nel lago con loro».
Carmela Morlino ha presentato denuncia e fatto i bagagli. Ma l’uomo non ha cancellato la promessa: «Ti uccido» aveva detto mesi fa e giovedì sera ha colpito davvero.