Pinè, prelievo abusivo d'acqua per irrigare: il maxi conto è doppio. Ma gli imprenditori respingono le accuse
Da una parte l'accusa della procura, che contesta a due imprenditori agricoli un prelievo abusivo d'acqua di oltre 218mila euro. Dall'altra la maxi "cartella" del Comune di Baselga di Piné, che ha presentato un conto di 110mila euro per i mancati canoni. A sei mesi dalla denuncia da parte dei carabinieri dell'aliquota operativa della compagnia di Borgo Valsugana per furto continuato ed aggravato , entrambe le persone sono state raggiunte dall'avviso di conclusione delle indagini.
A questo punto la difesa - sostenuta dagli avvocati Marco Vernillo e Antonio Saracino - potrà chiedere un interrogatorio o presentare una memoria. Di certo i due imprenditori daranno battaglia: respingono in toto l'accusa di essersi agganciati abusivamente alla rete comunale per irrigare la loro campagna a spese della collettività. E contestano pure la maxi bolletta del Comune, impugnata in Commissione tributaria. I fatti al centro del procedimento penale sarebbero andati avanti per almeno 5 anni, dal 2015 al 2020.
L'ipotesi dell'accusa è che i due, attraverso un sistema di «condotte abusive di captazione dell'acqua pubblica collegate dall'acquedotto di Baselga di Piné, sottraevano ingenti quantità di acqua senza pagarne il prezzo, con l'aggravante di avere commesso il fatto su cose di pubblico servizio e pubblica utilità e con violenza consistita nella modifica della tubazione che convogli l'acqua pubblica».
Un quadro ricostruito dai carabinieri attraverso una serie di verifiche tecniche, scattate anche alla luce di una serie di svuotamenti anomali notati nel serbatoio nei pressi di Molina.
«Il furto di acqua dalla rete pubblica è stato attuato con un complesso sistema idraulico abusivo, composto da numerose cisterne, pompe e centinaia di metri di tubature, in gran parte interrate, che hanno reso gli accertamenti particolarmente difficili» avevano spiegato i militari, che hanno condotto le verifiche nelle aziende agricole con la collaborazione dei tecnici comunali e di Stet, la società che si occupa nella zona della gestione del ciclo idrico. Alla fine, come detto, il prelievo abusivo messo in atto avrebbe causato un danno erariale pari a 218.406 euro.
Acqua usata per le aziende agricole a costo zero, secondo l'accusa, che avrebbe anche causato danni ai residenti: non di rado, soprattutto in estate, il Comune si era ritrovato ad intervenire con urgenza con le autobotti per reintegrare le scorte d'acqua nella zona. Alla contestazione penale, come detto, si è aggiunto anche il conto salato presentato dal Comune di Baselga di Piné che, con un accertamento esecutivo, ha calcolato i canoni non pagati: per un imprenditore una cartella da 70mila euro e per l'altro da 40 mila euro.
Denaro che i due imprenditori sono però decisi a non pagare, perché ritengono si tratti di una pretesa non legittima: da qui la decisione di impugnarla davanti alla Commissione tributaria. Insomma, si preannuncia una duplice battaglia. I due imprenditori negano con forza di avere usato acqua pubblica per le proprie aziende agricole. La difesa evidenzia in primis che l'attacco trovato nei terreni degli indagati risale agli anni Novanta: si tratterebbe di un tubicino del diametro ridotto, non collegato alla rete aziendale. «Entrambi gli imprenditori - spiega l'avvocato Saracino - hanno delle concessioni irrigue già da tempo, con un apporto di litri al secondo, più che sufficienti per la loro azienda».
Dunque, nella prospettazione della difesa. non avrebbero avuto nemmeno alcuna ragione di approvvigionarsi in modo illecito. «Non hanno mai attinto dalla rete comunale e pensare il contrario è illogico», sottolinea l'avvocato Saracino. Ma anche il Comune, come detto, dopo quanto emerso dall'indagine, ha presentato il conto attraverso un accertamento esecutivo: «Uno strumento utilizzato in maniera impropria - evidenzia il legale - perché si fa su altri tributi certi. Qui, invece, si usa un approccio induttivo su una materia peraltro ancora sub iudice». Da qui la decisione di impugnare la cartella in Commissione tributaria.